Nascita del capitalismo: città e borghesia - Parte II

15/01/13

15/01/13


Parte prima, parte terza, parte quarta, parte quinta, parte sesta

Non vi è dubbio che l'assenza di un grande impero europeo centralizzato e la conseguente maggiore libertà di cui disponevano gli abitanti delle nascenti città europee abbiano avuto un ruolo decisivo nell'affermazione della nuova classe borghese. Essa poté infatti installarsi negli interstizi di quella debole struttura sociale ed occupare rapidamente gli spazi economici, politici e sociali allora disponibili: non le fu così difficile consolidare la propria presenza e strappare un ruolo politico di rilievo. La prima notizia di una città retta a comune risalirebbe al 1070, e si tratterebbe di Mans, in Francia: in Italia la prima fase dei comuni, quella consolare, si aprì con Pisa nel 1081 e con Milano nel 1097.

Il panorama delle città medievali vide sorgere, a fianco del castello e della cattedrale, il palazzo del comune con la torre civica che, soprattutto a partire dal momento in cui l'orologio a pesi sostituirà la meridiana, comincerà a segnare il nuovo "tempo borghese degli affari", diverso da quello delle liturgie ecclesiastiche.

Non bisogna dimenticare che l'Europa, dopo essersi rinvigorita all'alba del millennio, riprenderà con nuovo impegno la lotta per il controllo del proprio territorio: a Ovest cacciando gli invasori con la guerra contro i Mori in Spagna, a Nord andando alla conquista delle regioni baltiche (il Drang nach Osten dei cavalieri teutonici), a Sud-Est con le Crociate, che, sulla base di motivazioni essenzialmente religiose (recupero dello scisma d'Oriente e liberazione dei luoghi santi dal dominio islamico) diedero esaltazione e vigore economico alle città italiane, in primis a quelle marinare.


La conseguenza principale della rivoluzione dell'anno Mille (e al contempo un fattore decisivo che cambiò la storia europea e mondiale) fu la nascita della borghesia e delle roccaforti da cui iniziò il suo lungo cammino alla conquista del mondo: le città. Nel suo libro Storia economica dell'Europa pre-industriale (1974), Carlo Maria Cipolla evidenzia in modo particolarmente efficace l'importanza economica, politica ed ideologica del processo di urbanizzazione che prende l'avvio in quell'epoca: "La città sta alla gente dei secoli XI-XIII in Europa come l'America sta agli europei del secolo XIX. La città era la frontiera: un mondo dinamico e nuovo in cui la gente riteneva di poter rompere con i vincoli del passato, dove la gente avvertiva o immaginava nuove possibilità di riuscita economica e sociale, dove le fortune si venivano creando e plasmando premiando l'iniziativa, l'audacia e il rischio. Stadtluft machts frei [NdA: L'aria di città rende liberi] si diceva nelle città tedesche. [...] Le mura cittadine acquisivano un significato simbolico: segnavano il confine tra due culture in conflitto. È questo conflitto che diede alla città medievale il suo carattere inconfondibile e fece del movimento urbano dei secoli XI-XIII il point tournant [NdA: svolta decisiva] della storia mondiale".

Le città non erano ovviamente una novità all'inizio del II millennio: erano parte della storia dell'umanità già da migliaia di anni e città come Roma antica o Baghdad del X secolo e.V. erano arrivate a contare anche un milione di abitanti. Ma queste città che andavano nascendo o ingrandendosi all'epoca in Europa, erano città diverse, nuove, espressione di una nuova classe emergente, dinamica e rivoluzionaria, che stava irrompendo sulla scena della storia. Prima del XI secolo le città erano parte di un tutto, in cui la classe dominante era quella dei proprietari terrieri. Scrive, infatti, il Cipolla: "La città medievale quale si affermò nei secoli XI-XIII fu invece un qualcosa di totalmente diverso. La città medievale non è organo di un organismo più vasto, ma è un organismo a sé stante, fieramente autonomo, e in netta opposizione al mondo circostante. [...] In Italia la città manifestò più che altrove il suo carattere rivoluzionario sia nei riguardi del potere feudale e vescovile così come nei riguardi del potere centrale (l'Impero). [...] La rivoluzione urbana dei secoli XI-XIII fu il preludio e creò i presupposti della rivoluzione industriale del secolo XIX".

L'affermazione finale di Cipolla è tanto perentoria quanto condivisibile, nonché scientificamente provata, visto che la nascita della borghesia e del capitale rappresentano effettivamente l'indispensabile premessa per le grandi rivoluzioni dei secoli successivi: da quelle politiche a quelle scientifico-filosofiche, fino alla rivoluzione industriale.

Non è un caso che il termine che definisce la nuova classe sociale sia "borghesia". I borghesi erano gli abitanti del borgo, sito appena fuori dalle mura cittadine o del castello feudale. Alle attività dei cittadini (cives) si contrapponevano quelle dei borghesi (burgenses), che erano fondamentalmente agricoltori, artigiani e mercanti. Con l'ingrandimento delle città, le mura si allargarono e inglobarono i borghi, e con essi la nuova classe sociale. Il termine "borghese" perse allora il suo riferimento topografico per assumere il significato di "ciò che non è militare, non è eroico, è civile, ossia non feudale; ciò che è profitto e commercio, attività meccanica e vile, quindi non aristocratico. La borghesia moderna comincia a nascere nelle città europee tra i secoli XI e XIV e [...] non assume dappertutto il ruolo che precocemente la caratterizza nei comuni italiani [...]. La borghesia europea del XIII secolo non è, ovviamente, quella di alcuni secoli dopo, ma è già borghesia a tutti i titoli" (Giuseppe Galasso, Storia d'Europa, 1996).

Una mappa di Bruxelles medievale in cui si distinguono le mura interne e quelle esterne, tra le quali vi è il borgo

Il quadro fornito dai due storici nei rispettivi libri, di cui abbiamo citato dei brevissimi passi, è certamente efficace, ma l'immagine che emerge della città e della figura del borghese è a mio avviso un po' troppo idealistica ed ottimistica. Infatti la storia delle città non è certo una marcia pacifica e trionfale nel corso dei secoli, dal piccolo villaggio alla megalopoli: molte delle città che nacquero non sopravvissero ed altre subirono fasi di ascesa e declino sotto i colpi della storia, oppure, più spesso, ancora sotto i colpi degli attacchi commerciali o militari di altre città. Ricordiamo solo due esempi significativi di quanto potevano essere spietate le lotte tra le città dell'epoca: la distruzione di Amalfi con relativo massacro dei suoi abitanti ad opera di Pisa nel 1073; il sacco di Bisanzio del 1204 ed il massacro della sua popolazione (cristiana) ad opera dei veneziani nel corso della IV crociata.

Basta prendere il punto di vista dei nemici della borghesia dell'epoca per avere una descrizione della natura delle città, certamente di parte, ma utile a bilanciare visioni troppo ottimistiche. Questo un tratto del sermone di un vescovo cattolico francese, Jacques de Vitry (1170-1240), che rivolto a borghesi, cambisti e mercanti tuonava: "Tutte le città suscitano inimicizie fraterne, desiderano la rovina delle città vicine o le perseguitano. [...] Nel loro stesso seno proliferano la gelosia, l'inganno reciproco, l'arrivismo, l'odio; all'esterno le guerre; in mancanza di esse, uno stato di allarme continuo".

Una (bellissima) descrizione più realistica e disincantata dei caratteri sociali dell'emergente classe borghese, la fa nel libro Storia d'Europa. Dalle invasioni al XVI secolo (1917) lo storico belga Henri Pirenne (1862-1935), famoso per la tesi che vede iniziare il Medioevo con l'avvento dell'Islam e l'espansione araba del VII secolo (tradizionalmente, invece, in storia si fa coincidere l'inizio dell'epoca medievale con la caduta dell'Impero romano d'Occidente avvenuta nel 476 e.V.): "C'è un caso molto semplice, che si dovette ripetere spesso. Una spedizione corsara ha avuto successo, è stato saccheggiato un porto musulmano, catturato un bel battello ben carico. Si fa ritorno, e subito si possono assumere in proprio dei poveri diavoli e ripartire, oppure acquistare da qualche parte grano a buon mercato e portarlo dove infuria la carestia per rivenderlo a caro prezzo. Questa, infatti, è una delle cause del formarsi dei primi capitali mercantili. Tutto è a dimensione locale. A poca distanza si trova il contrasto dell'abbondanza e della povertà e, come conseguenza, le fluttuazioni di prezzo più sbalorditive. Con pochissimo si può guadagnare molto. [...] Non bisogna dimenticare che la frode dovette essere molto praticata, all'inizio, così come la violenza. [...] Così, i questa grande società agricola dove i capitali sono a riposo, da un gruppo di outlaw, di fuorilegge, di vagabondi, di miserabili, sono venuti i primi artefici della nuova ricchezza, svincolata dal suolo. Siccome hanno guadagnato, vogliono guadagnare di più. [...] Vendono, comprano, non per vivere [...] ma per guadagnare. Non producono niente: trasportano. [...] Nessuna qualifica: sono tutti al tempo stesso rigattieri, baroccai, imbroglioni, cavalieri d'industria. [...] Il loro scopo è accumulare ricchezze. [...] A determinare, dirigere e introdurre il commercio in Europa è una classe di mercanti avventurieri".

Il problema è dunque capire come mai gli antichi mercanti fenici, arabi o cinesi, che non erano certamente né meno avventurosi né meno furbi dei loro colleghi europei del XI secolo, non fossero riusciti a sviluppare il capitalismo pur accumulando a loro volta enormi ricchezze.

In altre parole, si tratta ora di definire quali furono i principali fattori, materiali e non, che resero possibile ai mercanti borghesi di fare quello che ad altri mercanti di altre epoche non era riuscito: realizzare il passaggio da una formazione economico-sociale di tipo feudale a quella di tipo capitalistico. Si tratta di questioni che sono da tempo oggetto di studi e di aspre polemiche da parte di molti studiosi. La scuola marxista ha molto da dire in proposito e lo vedremo, ma prima, però, dobbiamo occuparci di un'altra epoca importante della storia di quei secoli.