Esistono le razze nell’uomo?

17/05/10

17/05/10


Dal punto di vista biologico, le razze (umane) non esistono. Le troviamo, però, solo in zoologia. Per essere considerati razze, i gruppi di individui (umani o animali che siano) devono essere distinti tra loro e questo è possibile solamente qualora vi siano confini non superabili o non superati.

Grazie all'archeologia sappiamo che circa 4 milioni di anni fa nell'Est dell'Africa c'era la forma umana detta Australopithecus afarensis, mezzo milione di anni dopo, in Sud Africa, avevamo l'A. africanus, e così via passando per Homo erectus (Asia, 2 milioni d'anni fa), H. heidelbergensis (Europa, 800 mila anni fa), H. sapiens neanderthalensis (Europa, Medioriente, Asia, 250 mila anni fa) e H. sapiens (dall'Africa in tutto il globo, 100 mila anni fa).

È con l'Homo erectus che abbiamo la prima grande migrazione dell'umanità: egli si spostò dall'Africa alla Cina 1 milione di anni or sono.

(Clicca per ingrandire)

Queste notizie le abbiamo grazie allo studio dei fossili umani, iniziato nell'Ottocento con il ritrovamento dei primi crani di forma umana in Belgio ed in Germania. Se è vero che fin dai filosofi greci c'è qualcuno che cerca di trovare risposta alla domanda "chi siamo, da dove veniamo?", è proprio durante la "pubertà della Scienza" che zoologi e botanici provano a classificare i viventi andando alla ricerca di riscontri a questo interrogativo. Nel 1785 il padre della geologia James Hutton espone la "Theory of the Earth" alla Royal Society di Edimburgo in cui ipotizza, tra le altre cose, che i fattori producenti la comparsa e la scomparsa delle creature fossili continuano ad agire anche al giorno d'oggi. Pur non specificando alcunché dal punto di vista genetico, in quanto all'epoca era troppo presto per quella scienza, il metodo di studio della teoria di Hutton suggerisce di osservare come mutano le specie tra di loro e quali siano i fattori che provocano questi cambiamenti.

Il mattone successivo, importantissimo, lo pone il naturalista illuminista Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon, il quale scopre che le rocce hanno età diverse, afferma che la Terra ha circa centomila anni (all'epoca si dava per scontato che ne avesse 6 mila, grazie alle fantasie bibliche) ed ipotizza un cambiamento nel tempo degli esseri viventi. Fino ad allora si pensava (o, meglio, si credeva) che ogni cosa fosse stata creata in un dato modo durante la cristiana Creazione e che potesse solamente estinguersi ma non trasformarsi.

Dopo di lui venne il biologo Jean-Baptiste de Lamarck, in un certo senso precursore delle teorie darwiniane. Egli pensava che esseri viventi simili avessero un antenato in comune e che le trasformazioni avvenute nel tempo fossero causa dell'ambiente. Sbagliava invece a dire che le modifiche avute nella vita di un organismo venissero acquisite e tramandate ai discendenti.

Prima di Darwin, però, abbiamo un personaggio le cui teorie erano particolarmente in voga vent'anni fa. Stiamo parlando dell'economista inglese Thomas Robert Malthus, e dell'idea che la "sovrappopolazione" in un territorio (o nel mondo) sia la causa della fame e della povertà. Da Marx ad oggi sappiamo che Malthus sbagliò i suoi conti, eppure anch'egli contribuì allo sviluppo delle teorie del biologo Charles Darwin.


Potremmo considerare la Bibbia, con la sua divisione nelle razze camitica (africani), semitica (asiatici), e jafetica (europei), come il primo tentativo scritto di catalogazione in razze. Ma è solo con Linneo, nel 1700, che abbiamo una vera e propria catalogazione di specie viventi (e dei minerali): egli fonda la scienza tassonomica. Il metodo utilizzato si basa ovviamente sull'osservazione e poi sul confronto tra anatomie e fisiologie per poi stilare uno schema che parta dalla specie, passi per genere, famiglia, ordine, classe, phylum e finisca in uno dei regni. Linneo colloca erroneamente l'uomo tra i Primati e pensa esistano sei razze: africana, americana, asiatica, europea, selvaggia, mostruosa.

I tentativi di raggruppamento in razze sono molti nei decenni. C'è chi divide l'umanità in due razze, chi in tre, quattro (come Immanuel Kant), e così via fino ad arrivare a sessanta. Queste differenze tra gli studiosi nascono sia per motivazioni ideologiche (l'Ottocento è l'epoca dei nazionalismi), sia per motivazioni pratiche. Le razze sono dei gruppi di individui con caratteristiche ben distinte: forma del cranio, peso, statura, colore degli occhi, carnagione, gruppo sanguigno. Ora, finché prendiamo come esempio il "classico" finlandese ed il "classico" nigeriano, non abbiamo dubbi perché sono differenti in ogni aspetto. Facciamolo ancora più semplice, prendendo solo il peso e l'altezza delle persone: ogni individuo apparterrà ad un gruppo ben distinto (facciamo tre), tranne quelli che hanno peso appartenente ad un gruppo ed altezza ad un altro. Però peso ed altezza non ci bastano e quindi prendiamo forzatamente altri fattori come ad esempio il gruppo sanguigno, il colore degli occhi e la carnagione. Se proviamo a disegnare degli insiemi in cui inserire le persone, vedremo una parte maggiore di essi sovrapposta agli altri. Ecco, non è possibile, in questo caso, parlare di razze.

Quand'è che possiamo allora dividere degli individui in razze? Solo nel caso in cui gli individui di una specie non entrino in contatto tra loro (ad esempio per via di un confine naturale inaggirabile). Guido Barbujani, genetista autore de L'invenzione delle razze, fa tre esempi: il ghepardo, il krill e la lumaca dei Pirenei. I ghepardi hanno pochissima variabilità genetica e compongono un'unica famiglia; i krill, crostacei componenti il plancton, hanno molta variabilità genetica ma non sono divisibili in razze; le lumache dei Pirenei hanno diversità genetica ma gli individui che vivono in una valle costituiscono razza diversa rispetto a quelli che vivono nella valle accanto. La conclusione è categorica: le razze si formano solo se le popolazioni restano isolate. E l'uomo, per natura, si sposta fin dalla sua comparsa sul pianeta.

Le razze umane sono un'invenzione sociale, quindi, e non un fatto biologico.