Una doverosa premessa
Una delle prime cose che imparai alla scuola superiore fu la padronanza della lingua italiana. Un termine, in genere, corrisponde ad una figura, ed una soltanto, ben precisa in una data materia. Certo, fin da fanciulli si impara a chiamare "biro" un oggetto piuttosto che "matita", ma è dalle superiori che iniziamo ad acquisire maggiore coscienza linguistica.
Impariamo, ad esempio, che è sbagliato chiamare "cellula" un organo, "numero primo" il numero quattro, "protone" un fotone. Così come sappiamo che è sbagliato chiamare "Alice" una ragazza di nome Yoshiko.
Ogni disciplina, arte o settore lavorativo, ha i suoi termini tecnici e così come in biologia si utilizzano vocaboli come "trasduzione", "basidiomiceta" e "neurotrasmettitore", in politica si hanno lemmi come "partito", "direttivo", "rivoluzione".
Tra tutti i termini tecnici (divenuti ormai di uso comune) di cui è impregnata la scienza politica, ve n'è uno in particolare che viene abusato da quasi un secolo: "comunismo".
Va da sé che un giornalista, per esempio, prima di definire una tal cosa come "ambigua" debba conoscere il significato della parola "ambiguità" e non utilizzare l'aggettivo a casaccio. E allora perché ognuno di noi si sente in diritto di dare il significato che vuole al verbo "comunismo", pur ignorandone la semantica? Io non mi sognerei mai di parlare di qualcosa di astrofisica se non la studiassi o se non ne capissi nulla!
Eppure sembra sia abituale che dalla panettiera, in uno show televisivo, in un bar, si cianci di cose sconosciute, tra cui, appunto, la politica.
Dal canto mio, non mi sento in diritto di specificare cosa sia il comunismo. Bensì, ne sento il dovere.
Che cos'è il comunismo?
Sarebbe fin troppo semplice e banale liquidare la questione in due righe. Cercherò quindi di affrontarla nel modo migliore che posso e considerando luogo, lettori e tempo a disposizione.
Anzitutto va detto che il comunismo è un sistema di organizzazione sociale della produzione, caratterizzato, in sintesi, dall'assenza di denaro, profitto, mercato, sfruttamento del lavoro, classi sociali, eserciti, Stati, povertà, guerre.
Oggi viviamo ancora in un altro sistema produttivo, il capitalismo, basato sulla dittatura del capitale, quindi sul profitto, sul denaro, sulla divisione in classi sociali, sullo sfruttamento della classe dominata (proletariato) da parte di quella dominante (borghesia), sulle guerre industriali e militari, sulle crisi di sovrapproduzione e molte altre contraddizioni.
Prima del capitalismo, e quindi della vittoria della borghesia (quando era classe rivoluzionaria) sulle altre classi sociali, eravamo in presenza del feudalesimo ed ancor prima della società schiavistica e quella antica (o asiatica). Fino a quest'ultima organizzazione, l'uomo ha vissuto in uno stato selvaggio, per dirla con Engels, senza alcuna forma gerarchica o sessuale.
Ogni passaggio da un'epoca all'altra è stato caratterizzato da rivoluzioni, ossia da superamento forzato del sistema vigente fino ad allora. Le rivoluzioni non avvengono per volontà individuale né di minoranze, ma si sviluppano in seno alla società al palesarsi di determinate condizioni oggettive. La vittoria della rivoluzione in queste condizioni storiche oggettive, è data solo da una forza politica che guidi la violenza sviluppatasi, il malumore, la voglia di cambiamento, verso il superamento delle condizioni sociali.
Per comunismo, quindi, si intende quella forma di organizzazione sociale della produzione prossima al capitalismo. Non è un'idea da applicare, non è una voglia utopistica di costruire in un determinato modo la società, non è un'ideologia.
"Non confondere chilogrammi con i metri"
L'idea generale che si ha della parola "comunismo", viene associata più che altro alla Russia stalinista.
In Russia, la rivoluzione dell'Ottobre 1917 da parte del proletariato è vittoriosa. La classe sociale dominata, insieme ai contadini, prende il potere. Ciò che non avviene però, è lo scoppio rivoluzionario nel resto d'Europa e Lenin ne è cosciente: "I tratti fondamentali della nostra rivoluzione non hanno un'importanza esclusivamente russa; ma hanno un'importanza internazionale, nel senso della inevitabilità storica che si ripeta su scala internazionale ciò che è accaduto da noi".
Il partito internazionalista tedesco non è pronto a guidare le masse di lavoratori e verrà schiacciato. I capi rivoluzionari Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht vengono infatti assassinati il 15 gennaio 1919 dai corpi franchi del socialdemocratico Gustav Noske.
Con il ritardare della rivoluzione internazionale, Lenin cerca e trova una risposta al problema dello sviluppo sociale in Russia. Il Paese era dilaniato dalla guerra mondiale. La povertà la faceva da padrone e le altre Nazioni minacciavano di intervenire. Ecco quindi che Lenin stesso dà il via alla nazionalizzazione della produzione: controllo statale (da parte del proletariato) della produzione, detto capitalismo di Stato. Lenin è cosciente che solo se vi è un forte rapporto tra il proletariato russo e quello internazionale la Russia può resistere pochi anni ancora al pieno sviluppo capitalistico interno ed allo sfondamento di quello straniero.
Ma la diffusione della rivoluzione non avviene ed il fondamentale equilibrio tra proletariato russo ed internazionale viene a spostarsi per mano di Stalin, dopo la morte di Lenin. Stalin apre le porte allo sviluppo capitalistico interno e a quello estero, continuando sulla via del capitalismo di Stato. Stalin sviluppa il capitalismo russo a discapito della rivoluzione mondiale.
Il proletariato aveva così un nemico in più da combattere. Un nemico che, tra l'altro, si macchiò di efferati crimini contro gli stessi bolscevichi ed in nome del comunismo.
Il maoismo segue il modello di sviluppo staliniano: edificare il socialismo nel Paese (in barba all'internazionalismo). Socialismo che in realtà, come in Russia, è sviluppo capitalistico nelle mani statali che stupra il proletariato.
Il proletariato "ringrazia" socialdemocrazia, stalinismo, fascismo e nazismo, per essere, nel terzo millennio, ancora nella preistoria dell'umanità.
Scrive Engels:
Lo Stato moderno è l'organizzazione che la società capitalistica si dà per mantenere il modo di produzione capitalistico di fronte agli attacchi sia degli operai che dei singoli capitalisti. Lo Stato moderno, qualunque ne sia la forma, è una macchina essenzialmente capitalistica, uno Stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale.
Scrive Wilhelm Liebknecht ricordando Marx:
Marx odiava a morte i politicanti da strapazzo e la loro ciarlataneria. [...] La storia è il prodotto di tutte le forze che agiscono all'interno degli uomini e della natura, il prodotto del pensiero, delle passioni, dei bisogni umani. La politica è, teoricamente, la conoscenza dei milioni e milioni di fattori che tessono la "tela della storia" e, praticamente, l'azione determinata da questa conoscenza. La politica è dunque scienza e scienza applicata. La scienza politica o scienza della politica è in certo modo l'essenza di tutte le scienze, poiché abbraccia tutta la sfera dell'attività dell'uomo e della natura, attività che costituisce lo scopo di ogni scienza. Eppure ogni pagliaccio è convinto di essere un grande politico o addirittura un grande uomo di Stato...