Il terremoto di venerdì 11 marzo è stato il più violento mai registrato in Giappone. Alle ore 06:46 italiane, a circa 100 km da Sendai, Nord-Est dell'Isola di Honshu, un terremoto con ipocentro a 24 km di profondità e magnitudo 8.9 innesca uno tsunami con onde alte dai 4 ai 10 metri che devastano le coste nordorientali del Paese, da Tokio a Miyako. Si stimano, ad oggi, più di 10 mila tra morti e dispersi a causa del maremoto.
Il terremoto di per sé, invece, ha fatto relativamente pochi danni grazie alle tecnologie antisismiche perfezionate negli ultimi decenni ed utilizzate nelle infrastrutture nipponiche. Il danno più rilevante, che tutt'oggi troviamo sulle pagine dei media mondiali, è quello provocato ai reattori 1, 2 e 3 della centrale nucleare di Fukushima, sita nell'omonima prefettura: l'allarme è alto, stabilito con livello 5 secondo la Scala Internazionale degli Eventi Nucleari (INES, International Nuclear and Radiological Event Scale), ma potrebbe salire al sesto. Per avere un metro di paragone, il disastro di Chernobyl del 1986 fu catalogato con livello 7, cioè il massimo, e quello brasiliano di Goiânia dell'anno successivo con livello 5.
Sono stati compiuti rilevamenti negli impianti idrici delle abitazioni, in alcune coltivazioni agricole, nel latte ed il livello di radioattività non è considerato nocivo se le sostanze contaminate vengono assunte per un breve periodo di tempo. E' stata altresì campionata l'acqua marina vicino alla costa: le concentrazioni di Cesio e Iodio radioattivi hanno superato i limiti di sicurezza.
Dopo questo incidente sono aumentate le polemiche dell'opinione pubblica verso l'energia nucleare in buona parte del mondo e, contemporaneamente, acclamate le cosiddette "energie alternative" come, a torto, gli unici esempi di "energia pulita e sicura".
L'ideologia di fondo che muove questi pensieri è l'ecologismo. I sostenitori delle "energie pulite", infatti, si dimenticano di fare i conti con i numeri, con la scienza, e con il sistema produttivo in cui ancora viviamo. Parlerò però più avanti di ecologismo ed "energie alternative" con più completezza.
L'elettricità da prodotto di lusso a prodotto di massa
Alla fine del 1800 ogni edificio che faceva uso di energia elettrica, tra cui alcune abitazioni, aveva generatori elettrici propri che gestiva in autonomia. Questo provocava un sottoutilizzo degli impianti, in quanto venivano sfruttati solo in alcune fasce orarie, mentre in altre i generatori venivano tenuti spenti, con conseguente alto costo dell'energia elettrica ed un basso fattore di capacità.
Il fattore di capacità è inteso come il tasso di utilizzo di un impianto elettrico in un determinato lasso temporale: 24 ore di utilizzo corrispondono al 100% di fattore di capacità, 12 ore al 50%, 6 ore al 25% e così via. La soluzione più sensata per abbassare i costi dell'elettricità era quindi quella di aumentare questo fattore, concentrando la produzione elettrica in grandi centrali.
Chi arrivò a questa conclusione fu Samuel Insull, a capo della Chicago Commonwealth Edison che ridusse le tariffe elettriche del 50% nel 1897 (da 20 a 10 centesimi di dollaro per kWh), del 80% nel 1909 e tre anni dopo il prezzo per kWh consumati fuori dalle ore di punta arrivò a 0.5 centesimi di dollaro.
La diversificazione della produzione elettrica
Il consumo di energia elettrica ha un carico di base ed uno variabile a seconda delle ore del giorno e dei giorni della settimana. Il consumo massimo si ha di sera, dalle 16 alle 20, mentre quello minimo dalle 04 alle 08 nel week-end. Fatto 100 il consumo massimo nelle ore serali, il carico di base settimanale è 65. Questo carico di base viene prodotto grazie a centrali a carbone e centrali nucleari, il cui combustibile ha un basso costo e la messa in rete dell'energia richiede tempo. Gli impianti che producono, invece, il carico variabile di elettricità sono quelli a gas naturale ed idroelettrici. Nei Paesi facenti parte dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCDE) un terzo della capacità di base è fornita da centrali nucleari e a carbone che producono quasi il 60% dell'energia elettrica.
Secondo l'Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA) dal 1974 al 2007, sempre nei Paesi OCDE, assistiamo ad una maggiore efficienza delle centrali a carbone (il fattore di capacità passa dal 60 al 90%) e, paradossalmente, ad un calo dal 32% al 20% del peso di questa produzione sul totale. Stessa sorte per il nucleare che trentacinque anni fa pesava per il 5% e nel 2007 per il 12,6%, con raddoppio del fattore di capacità dal 41 al 81%. Le altre produzioni elettriche hanno visto la tendenza inversa: il gas naturale pesa oggi per il 25% (contro il 7,5% del 1974) ma vede dimezzato il fattore di capacità (dall'80% al 43%); l'energia idroelettrica prodotta è il 17,5% sul totale, così come negli anni '70 (18%), ma cala il tasso di utilizzo dal 59 al 34%; petrolio, biomasse, eolica e solare nel 1974 pesavano per il 37%, mentre oggi, grazie alla riduzione dell'uso del petrolio nella produzione energetica, pesano per il 26%, con il fattore di capacità che passa dal 35% al 15% attuale. (Oggi l'eolica pesa per il 3% con tasso di utilizzo del 3,3% sul totale, mentre la solare lo 0,3% con tasso dello 0,9% sul totale.)
L'analisi di questi dati ci porta a definire il carbone come la prima fonte di elettricità dei Paesi OCDE, in quanto l'incremento dell'efficienza al 90% consente di generare il 38% circa dell'energia elettrica totale.
I prossimi vent'anni marciano a carbone
Come abbiamo appena visto, mentre carbone e nucleare ottimizzano la produzione energetica pur diminuendo in percentuale sulle energie complessive, l'eolico ed il solare hanno un andamento inverso. A parità di potenza installata, una centrale a carbone produce quattro volte l'energia di una centrale eolica e quindici volte quella generata da una centrale solare. Senza considerare l'instabilità del vento e del Sole, grazie alla quale non è possibile utilizzare queste due fonti per la produzione del carico energetico di base.
In alcuni Paesi, tra cui l'Italia, le "energie alternative" possono appagare le piccole coscienze di talune persone solo grazie agli incentivi statali. Il Sole 24 Ore ha stimato l'anno scorso un costo per l'eolico che varia dai 7,6 ai 12 centesimi di euro a kWh, mentre per il solare varia dai 21 ai 52 centesimi. Gli incentivi governativi sono, rispettivamente, di 18 e 25-48 centesimi. Un bel giro di affari, insomma, che causa, tra l'altro, l'aumento delle tariffe elettriche. Gli incentivi statali ad eolico e solare vengono pagati da tutti gli altri utenti.
Rimanendo in tema di tariffe, nella Francia "nucleare" un kWh costa 14,5 centesimi di dollaro, in Italia 22,5, in Danimarca ("patria dell'eolico") 32 centesimi, e negli USA un kWh costa 10,4 cents. In Asia, dove il carbone la fa naturalmente da padrone assoluto coprendo anche l'80% del mercato (come lo fu per Europa ed America quando erano in via di sviluppo capitalistico), questo costo è di 5 centesimi di dollaro.
Il Dipartimento dell'Energia USA ha previsto che l'energia elettrica mondiale generata dal carbone aumenterà per i prossimi due decenni, fino ad arrivare al 43% nel 2030 (nel 2007 era al 41%). Qui trovate un interessante articolo dell'amico Marco Notari.
Lo sanno anche loro...
L'energia solare è un prodotto finanziario, non una soluzione energetica.
Questa è una dichiarazione di José Ignacio Sánchez Galán, presidente e consigliere delegato della spagnola Iberdrola, il più grande produttore di energie rinnovabili al mondo.