Che cos'è la pubblicità?

21/01/12

21/01/12


"Fare pubblicità è creare un'esigenza d'acquisto che il pubblico non ha, gratificandolo e facendogli credere che dopo sarà appagato."
Riccardo Pizzi, blogger, PocaCola.com

La pubblicità è una forma di comunicazione diretta verso i consumatori da parte delle aziende. Ci sono corsi di studio, specifiche mansioni di marketing ed analisi psico-sociologiche.

L'industria dell'auto, colpita fortemente dalla crisi economica del 2007 non ha mai smesso di credere nel suo rialzo. Uno dei sintomi di questa necessità di ripresa è stato l'investimento in pubblicità che, tra il 2009 ed il 2010 ha visto, nel solo mercato USA, un incremento del 27% (da 3,5 miliardi di dollari a 4,4), mentre la spesa in pubblicità dei prodotti assicurativi legati alle automobili è salita da 620 a 760 milioni di dollari (+ 23%).


Credulità e consumismo

Secondo il romanziere realista francese Honoré de Balzac (1799-1850) la pubblicità è la potenza che tra quelle moderne riesce a far fruttare la credulità nell'epoca più incredula, la simpatia nel ventre del secolo più egoistico e la capacità di calcolare quanto denaro vale un'idea. Lo scriveva in Théorie de la démarche (Teoria del camminare, 1833), mentre nella trilogia Illusions perdues (Illusioni perdute, cominciata a scrivere quattro anni dopo) ci spiega come la pubblicità nacque negli anni 1816-27 con l'introduzione, in Francia, dei manifesti che "a Parigi attrassero l'attenzione esibendovi caratteri di fantasia, coloriture bizzarre, vignette e, più tardi, litografie che fecero dell'affisso un poema per gli occhi e spesso un inganno per la borsa degli amatori". Nel 1821 l'inserzione a pagamento "diede ai giornali il diritto di vita e di morte sulle creazioni del pensiero e sulle imprese dell'editoria".



Stampa, radio e televisione sono così legate all'industria dei beni di consumo dal filo rosso della pubblicità, che giocò un ruolo fondamentale nel boom delle vendite delle automobili come mezzi di trasporto urbani.

La quasi totalità dei prodotti di consumo è identificabile da un marchio, un brand, fatto conoscere attraverso la pubblicità che diventa uno strumento essenziale di vendita, dalle automobili alle banane, dagli elettrodomestici all'abbigliamento. È proprio la pubblicità che crea quell'ossessione al consumo figlia del sistema capitalistico, portando il consumismo in vetta ai valori della società.

Scrive Karl Mark in Per la critica dell'economia politica, 1859: "La produzione produce il consumo, creando un modo determinato di consumo e, poi, creando lo stimolo al consumo, la capacità stessa di consumare sotto forma di bisogno". È proprio questo il consumismo, ossia l'idea dominante che bisogna comprare per soddisfare il proprio piacere.

C'è una contraddizione, ineliminabile, nello strumento pubblicitario: le aziende esortano la produzione ad una riduzione dei costi, un aumento della produttività umana, risparmio e stare coi piedi per terra. Razzolano peggio però, perché nel momento della vendita diffondono divertimento, sperperi di denaro, illusioni e comfort di ogni tipo.


General Motors ed il consigliere predicatore

La statunitense General Motors, colosso dell'automobile, negli anni Venti assunse come consigliere Bruce Fairchild Barton. Molto religioso ed individualista, figlio di un predicatore protestante, credeva nel progresso del capitalismo e sapeva capire al volo la mente di un americano medio. Questa sua capacità, associata alla persuasione, lo portò ad entrare nel mondo degli affari fin dal termine della Prima Guerra Mondiale.

Catena di montaggio nello stabilimento General Motors
Chicago, 1933

Bruce Barton applicò la tecnica della propaganda religiosa al mondo del business, tant'è che scrisse The man nobody knows (L'uomo che nessuno conosce, 1925) in cui il personaggio di Gesù Cristo veniva esaltato come organizzatore ed affarista. Per il predicatore del Tennessee la pubblicità rientrava in un piano divino di Cristo per la redenzione dell'umanità e se egli fosse vissuto in quest'epoca avrebbe avuto tutte le doti per capitanare un grande gruppo industriale o essere un agente di cambio.

Fu così che Alfred Sloan, capo della General Motors, lo volle come consigliere, timoroso che la sua azienda fosse vista come troppo burocratizzata, impersonale ed anonima, e che ciò potesse influire sul morale dei suoi dipendenti e sulle vendite delle proprie automobili.

Secondo Barton i manager dovevano capire che i grandi gruppi, pur avendo risolto i problemi della produzione avuti durante la crisi del 1929, per essere meglio visti dalla società dovevano risolvere anche il problema della legittimazione. Li convinse quindi che le loro aziende avevano un'anima, proprio come gli uomini, e la GM doveva dimostrare di avere spirito, di essere una grande famiglia che lavorava per il benessere dei dipendenti e della collettività. Non è fantascienza, ed ancora oggi sentiamo strisciare viscidi questi discorsi in qualche ufficio, fra i torni impolverati o dietro un luccicante bancone da bar.


La televisione commerciale

In Italia fino alla fine degli anni Settanta l'unica televisione trasmessa via cavo era il servizio pubblico, la RAI. Il motivo per cui il legislatore si era sempre espresso a favore del monopolio RAI riguardava la limitatezza del numero di frequenze disponibili: il timore era quello di vedere concentrate troppe frequenze nelle mani di un privato, pertanto si propendette per mantenere il monopolio statale. Alla fine di quel decennio, però, la Corte Costituzionale sancì la liberalizzazione via cavo (utile per TV locali), e poi via etere (TV nazionali).

Fu l'inizio dell'era della televisione commerciale, che andava inizialmente a riempire i buchi di alcune fasce orarie non coperte dalla RAI (come, ad esempio, le mattine) e che si reggeva sugli introiti prodotti dalla pubblicità. Publitalia '80, fondata da Silvio Berlusconi sul finire del 1979, nacque appositamente come concessionaria di pubblicità televisiva e divenne ben presto la maggiore azienda nel campo, grazie soprattutto alla holding Fininvest, sempre della famiglia Berlusconi.

L'idea di vendere il tempo di trasmissione a chi volesse/potesse lanciare messaggi pubblicitari, però, nacque nel 1922 negli uffici della AT&T: grazie a questo nuovo utilizzo l'industria della radio venne trainata dalla pubblicità. È da quel momento che quasi tutto divenne entertainment, perché più l'indice di ascolto era alto, più c'era possibilità di vendere gli spazi, pertanto i programmi si avvicinarono sempre più all'utente medio, proprio come fece la TV commerciale da noi a partire dagli anni Ottanta con maghi, soubrettes, pseudo-comici, pornostars e telenovelas.

È così che una birra od una vodka non sono pubblicizzate come bevande rinfrescanti, ma diventano simboli di seduzione di massa.

Pubblicità birra Budweiser e vodka Absolut

È così che l'immagine prevale sulla realtà, perché diffonde un messaggio emotivo deformando il pensiero razionale. Prodotti molto simili tra loro vengono pubblicizzati come fossero uno migliore dell'altro quando invece, sostanzialmente, differiscono solo per il marchio. Un acquisto non è compiuto in maniera ragionata e razionale, ma si basa sull'abitudine, sull'imitazione, sulle mode, su quanto una pubblicità colpisce i nostri occhi.


Chiacchiere e bisogni

I produttori di auto lo capirono negli anni Venti e triplicarono i loro investimenti pubblicitari fino ad arrivare anche a spendere il 2% del proprio fatturato. L'automobile non fu più soltanto un mezzo di trasporto, ma un oggetto di comfort ed uno status symbol.

Era il febbraio del 2011 e Volkswagen pubblicava su YouTube il suo nuovo spot della Passat dal titolo The Force. Poco più di 22 milioni di visualizzazioni in soli sette giorni, per un video che è sì definibile geniale, ma che nulla dice dell'automobile che si pubblicizza:


Così come quest'altro video virale del 18 gennaio 2012, sempre di Volkswagen, che ho scoperto oggi grazie al Disinformatico:


In Italia nel 2011 sono stati spesi poco più di sei miliardi di euro in pubblicità di cui la metà in televisione, un miliardo e mezzo per la carta stampata, 315 milioni in radio e, unico settore che ha registrato un aumento del 15%, Internet con 430 milioni di euro di investimento pubblicitario. L'automotive, con 750 milioni di euro (+ 5.5% sul 2010) è seconda solo ai gruppi alimentari che hanno speso complessivamente circa 860 milioni, 70 in meno rispetto all'anno precedente; seguono le telecomunicazioni (550 mln, - 10%), l'abbigliamento (400 mln, - 3%), i media (360 mln, - 1%), la distribuzione commerciale (330 mln, - 2%) e le bevande (310 mln, - 12%).

Scriveva Karl Marx nei suoi manoscritti Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, 1857-58: "Il capitalista, di fronte ai consumatori, ricorre a tutti i mezzi per sollecitarli al consumo, per dare nuove attrattive alle sue merci, per creare in loro, con le chiacchiere, nuovi bisogni".