Un nome che richiama la poetica Isola d'Elba (Ilva, in latino), una storia lunga più di cent'anni che affonda le sue radici in crisi e lotte sindacali in tutta Italia. Oggi, lo stabilimento tarantino dell'Ilva (gruppo Riva) è sulle prime pagine di tutti i quotidiani. È accusata di "omicidio e disastro ambientale".
In questo articolo alzeremo la testa sul mondo, per capire come si colloca la questione Ilva nel settore siderurgico europeo e globale, e cosa stia succedendo a Taranto.
La produzione di acciaio si sviluppò in Inghilterra nell'Ottocento, e questo materiale, oggi più di allora, entra in ogni settore manifatturiero: ad esempio, per costruire un'auto (anche un'auto ecologica) o uno smartphone, servono macchine fatte d'acciaio, la cui culla risiede in una industria siderurgica.
Una battaglia trentennale
Tra le due guerre mondiali la produzione siderurgica negli Stati Uniti d'America e quella in Europa si equivalevano. Solo al termine del secondo conflitto gli USA primeggiarono: nel 1950 sull'altra sponda dell'Oceano Atlantico si producevano 90 milioni di tonnellate d'acciaio, mentre nel Vecchio Continente 50. Grazie a quasi tre decenni di forti investimenti nel settore, durante la crisi degli anni Settanta l'Europa registrava 160 milioni di tonnellate prodotte, USA e URSS 120 ciascuna e il Giappone 90 (su un totale mondiale di circa 600 milioni di tonnellate).
Oggi il Giappone e le prime due potenze sull'Atlantico producono tra i 100 e i 200 milioni di tonnellate di acciaio, mentre la Cina, da sola, ne supera la somma arrivando a 700 (nel 2000 era a 150). Due terzi della produzione siderurgica mondiale e il 90% di quella cinese si basano sugli impianti integrati (altoforno + cokeria + Basic Oxigen Furnace).
Durante i vari processi di ristrutturazione abbiamo assistito all'aumentare della concentrazione capitalistica anche nel settore siderurgico (un esempio è il gruppo Riva). L'Europa ha mantenuto fondata la sua produzione sugli impianti integrati, e l'Italia, tanto per cambiare, fa da eccezione con la sua Ilva di Taranto. I concorrenti europei hanno pesantemente investito capitali nell'ambiente, nella concentrazione e nell'innovazione dei loro altiforni. L'Ilva, figlia del forno elettrico e dei disastri dell'IRI, no.
Nel ventennio 1970-1990, grazie anche al Piano Davignon del 1981 (Étienne Davignon, già commissario europeo, è presidente del gruppo Bilderberg da quattordici anni), assistiamo ad una concentrazione europea degli altiforni: questi, infatti, passarono da 200 a 92 e nel ventennio successivo scesero a una sessantina, mantenendo però la stessa produzione (circa 90 milioni di tonnellate del 2008 contro i 94 del 1990).
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Andamento della produzione mondiale di acciaio in milioni di tonnellate degli ultimi sessant'anni: il balzo cominciato nel 2000 è dato dal forte sviluppo cinese (Fonte: World Steel Association) |
Ciò fu possibile da un lato grazie all'aumento della dimensione degli altiforni in grado di utilizzare volumi maggiori nel crogiolo (da 1600 a 2100 m3), e dall'altro grazie a nuovi procedimenti produttivi. La smelting reduction, ad esempio, prevede l'utilizzo di carbone al posto del coke, riducendo i costi energetici e di capitale. Un altro procedimento è l'ITmk3 (Ironmaking Technology Mark 3) che vede una mistura di carbone e minerale di ferro in polvere.
Nel 2009, a causa degli effetti della crisi finanziaria, in Europa vennero spenti 10 altiforni e prodotte 60 milioni di tonnellate di acciaio. Le previsioni per il 2013 non sono buone, perché parlano di un ulteriore calo dei consumi di un quarto nel nostro continente: questo porta all'accentuarsi della concorrenza tra i grandi gruppi, sul cui collo alitano i colossi cinesi.
Alcuni di questi hanno approfittato della crisi per ristrutturare ulteriormente. Prendiamo come esempio la ThyssenKrupp AG, che nel suo stabilimento di Duisburg (il primo europeo per capacità produttiva con ben 7 impianti integrati) ha rinnovato altiforni e cokeria. Le aziende cinesi, intanto, scalano la vetta dei maggiori produttori mondiali conquistando 6 posizioni tra le prime 10.
Oggi l'Europa mantiene in funzione una trentina di altiforni sopra i 10 metri di diametro e 8 di questi sono fra i più grandi al mondo, di cui 4 tedeschi. Duisburg, il maggiore impianto d'Europa, proprietà della ThyssenKrupp, ha un crogiolo grande circa 5000 m3. Il sito occupa poco meno di 10 km2 e i suoi forni Schwelgern-1 e 2 sono fra i più grandi del mondo: essi vantano l'avanguardia nell'abbattimento delle emissioni di CO2, processo che comporta un maggior contenuto di ferro nei minerali e quindi un innalzamento di produttività che, secondo le stime aziendali, registrerebbe un + 28%.
Disastro ambientale e artiglio statale
Visto il quadro mondiale dell'acciaio, veniamo alla questione locale dell'Ilva di Taranto. Il gruppo Riva acquista l'Ilva nel 1995, privatizzazione che avviene dopo decenni di disastrosa gestione pubblica dell'IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale fondato da Benito Mussolini e al cui vertice sedette anche Romano Prodi).
Nel 2002 il gruppo dovette smantellare il sito produttivo di Genova cominciando dalle cokerie e finendo con il secondo altoforno di Cornigliano nel 2005. La causa fu l'impatto dello stabilimento sulla salute dei lavoratori e su quella degli abitanti del quartiere: secondo uno studio condotto su dati 1986-1998, infatti, la mortalità nella zona era più alta di quella registrata in tutte le altre zone cittadine.
Stessa sorte tocca oggi all'impianto pugliese, secondo in Europa e primo in Italia per produzione. Due perizie depositate quest'anno presso la Procura della Repubblica di Taranto concludono che lo stabilimento del quartiere Tamburi inquina troppo. E uccide. Secondo i periti della Procura negli ultimi sette anni ci sono stati più di 600 morti e più di 4500 ricoveri ospedalieri a causa delle polveri emesse dall'attività industriale dell'Ilva.
Il 27 luglio 2012 il giudice per le indagini preliminari dispone il sequestro, praticamente, dell'intera area produttiva, nonché l'arresto di Emilio Riva, presidente di Ilva SpA fino al 2010, di suo figlio Nicola e altri sei dirigenti. L'azienda parla di quasi mille esuberi per via dell'imminente chiusura: tradotto, significa quasi mille lavoratori a casa e conseguenze gravi per l'indotto Ilva. 8 mila operai lottano e scioperano in difesa del loro posto di lavoro e di una intera città.
Con una rapidità quasi fulminea, il Consiglio dei ministri dà il via al decreto legge n. 207/2012 sull'Ilva di Taranto. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano firma ed emana il 3 dicembre il decreto, che diventa legge. Questo prevede che Ilva SpA riabbia in gestione l'impianto (dopo che era stato affidato al prefetto Bruno Ferrante) e che effettui tutti quegli adeguamenti atti a diminuire i livelli di inquinamento fin sotto la soglia stabilita dalle norme europee. A tal proposito viene utilizzata l'AIA, Autorizzazione Integrata Ambientale.
La Procura di Taranto, intanto, sta valutando se opporsi sollevando l'incostituzionalità del decreto. I magistrati, sostanzialmente, potrebbero accusare il potere legislativo di interferire col potere giudiziario, poiché il decreto legge firmato da Napolitano non segue l'obiettivo primario della tutela della salute delle persone, come deciso dall'atto di sequestro della Procura.
Come sempre le decisioni, siano esse prese da banchieri, professori, politicanti o magistrati, siano esse a tutela della salute, del lavoro, o di una azienda, vengono pagate solo dai lavoratori. E dai loro familiari.
Bisogna immediatamente avviare tutte quelle procedure di messa in sicurezza degli impianti Ilva, affinché i dipendenti (percependo comunque il salario fino alla riattivazione) possano continuare a lavorare senza rischiare la vita, e rispettando il più possibile l'ambiente. Non solo all'Ilva, non solo a Taranto.