Il Giappone in guerra

15/12/08

15/12/08



Il Giappone degli anni Trenta era affamato di carburanti e materie prime. Il petrolio rappresentava solo il 7 % del consumo energetico giapponese, ma era vitale per le sue Forze armate e la Marina mercantile. L'80 % del petrolio era importato dagli USA. Quando, nel 1937, iniziò la guerra contro la Cina, il Giappone avviò un piano settennale (altamente irrealistico secondo Yergin, uno dei maggiori economisti e studiosi) per la produzione di carburanti sintetici.

Fra le complesse ragioni e lotte di fazione che portarono al prevalere della direttrice di espansione voluta dalla Marina militare, a Sud verso l'Indocina e le Indie olandesi, un peso decisivo ebbe la considerazione che in quella regione si potevano ottenere gli approvvigionamenti necessari per completare la conquista della Cina, direttrice privilegiata dell'Esercito. Il governatore Fumimaro Konoe (1891-1945) scommise sulla possibilità di avanzare a Sud, ottenendo contemporaneamente l'accordo con gli Stati Uniti, che però ponevano la pregiudiziale del ritiro totale dalla Cina.

Il 24 luglio 1941 le truppe nipponiche iniziarono l'occupazione dell'Indocina francese, con la rassegnata acquiescenza del governo di Vichy. Roosevelt rispose con il congelamento di tutti i crediti giapponesi, che si tradusse in un completo embargo petrolifero, sostenuto anche da Gran Bretagna e Olanda. Konoe si dimise quando il governo americano rifiutò definitivamente un incontro al vertice, nell'ottobre 1941. Il nuovo governo del generale Hideki Tojo (1884-1948) sferrò il 7 dicembre l'attacco contro Pearl Harbor, che fece entrare in guerra gli Stati Uniti.

C'è un dibattito storico circa il ruolo dell'embargo imposto da Roosevelt nel luglio 1941. E' indubbio che esso mise il Giappone con le spalle al muro. Basil Liddell Hart, uno dei maggiori studiosi della Seconda Guerra Mondiale, scrive che l'embargo significò che "il Giappone avrebbe dovuto scegliere tra queste due alternative: lasciar cadere tutte le sue ambizioni (con il rischio di una rivoluzione e la quasi certezza di una rivolta dei militari) o impadronirsi con la forza del petrolio necessario a scendere in guerra contro le potenze bianche. Non esistevano altre vie d'uscita [...] Il 6 agosto il Giappone supplicò gli Stati Uniti di revocare l'embargo [...] La decisione di scendere in guerra non fu presa che il 25 novembre. Uno dei fattori che contribuì a farla precipitare fu la notizia che fra aprile e settembre le scorte di petrolio si erano ridotte di un quarto".

Liddell Hart non accetta le tesi degli storici cosiddetti "revisionisti" che ipotizzano la volontà di Roosevelt di provocare, attraverso l'embargo, un attacco nipponico contro gli Stati Uniti che stroncasse l'opposizione isolazionista alla guerra. Tuttavia lo stesso storico ironizza sulla sorpresa americana di fronte all'attacco di Pearl Harbor che "alla luce della storia" non fu che la ripetizione dell'attacco giapponese contro Port Arthur nel febbraio 1904, "e che dunque avrebbe dovuto costituire un precedente".