La dipendenza energetica

23/02/09

23/02/09


Nel ricambio organico tra uomo e natura ogni nuova fonte energetica non sostituisce la vecchia ma si combina con essa generando un nuovo sistema energetico.

Quando nell'ottobre del 1973 i Paesi arabi imposero l'embargo petrolifero, l'economia mondiale dipendeva per quasi la metà dal petrolio. Tra i grandi Paesi industrializzati i più colpiti furono quelli europei e il Giappone.

La tabella 1 (Dipendenza da import) ci mostra quale fosse nel 1971 la dipendenza energetica dalle importazioni, sia di tutte le forme di energia, sia di petrolio.

Il Giappone importava l'86.7 % dell'energia che consumava e quasi il 100 % del petrolio; i 15 Paesi dell'Unione Europea (EU-15) importavano il 59.3 % dell'energia e il 97.4 del petrolio; gli USA dipendevano dall'import solo per il 9.9 % dell'energia e il 24.6 % del petrolio.

La prima crisi petrolifera ebbe un impatto differenziato e mise in evidenza una debolezza europea rispetto ad una forza relativa degli USA. Dalla tabella II, alla voce "saldo", si vede che nel 1971 l'EU-15 importava 618 MTPE (milioni di tonnellate di petrolio equivalente) di energia in tutte le forme, contro le 157 degli USA; l'import di petrolio era di 589 MTPE per l'EU-15, contro le 179 degli USA (tabella 3 - Saldi export-import).


Il sistema energetico fondato sul petrolio, e instauratosi nei Paesi industriali nel periodo 1645-1970, combinato con la distribuzione geografica mondiale delle riserve petrolifere, metteva gli USA in una posizione di forza nei riguardi della EU-15, del Giappone e dei Paesi emergenti. All'interno dei Paesi europei la situazione era differenziata: la Germania e la Gran Bretagna, essendo ricche di carbone, dipendevano dall'import di energia molto meno della Francia e dell'Italia (tabella 2 - Produzione e forniture).

La crisi petrolifera del 1973, seguita da quella del 1980, diede coscienza alle borghesie europee, a quella giapponese e alle borghesie emergenti dei Paesi in via di sviluppo della propria vulnerabilità al ricatto petrolifero, sia a quello diretto dei paesi del Golfo Persico, sia a quello indiretto degli USA e dell'URSS.

Il periodo 1973-1980 fu il culmine del potere dell'"oro nero", a vantaggio non solo delle borghesie arabe, ma di tutti i Paesi produttori, tra i quali c'erano le due superpotenze USA e URSS.

La reazione alla dipendenza petrolifera fu differenziata: si trattò di un confronto tra sistemi differenti di organizzazioni capitalistiche in lotta tra loro. Nella guerra energetica una delle risposte più efficaci la diede il centralismo del capitalismo di Stato della Francia.

Dalla tabella I si vede come la situazione francese nel 1971 non fosse molto diversa da quella italiana e giapponese, con una dipendenza della Francia dall'import di energia pari al 74 % del proprio consumo e con un'incidenza dell'uso del petrolio pari al 66 % del proprio consumo di energia (tabella 3 - Saldi export-import).

Tra il 1971 e il 2000 la Francia ha ridotto il consumo di petrolio a un terzo del proprio consumo energetico, e ha ridotto la dipendenza dall'import energetico da tre quarti a metà delle forniture energetiche. Ciò è il risultato di un massiccio investimento nelle tecnologie nucleari che, per loro stessa natura, non possono essere lasciate al libero mercato ma richiedono l'intervento dello Stato, se non altro per quanto riguarda la questione della sicurezza e della proliferazione delle armi di distruzione di massa.

Quanto l'inefficienza della macchina dello Stato danneggi una borghesia lo si vede dall'Italia, Paese che nel 2000 ha la maggiore incidenza dell'import energetico sul proprio consumo (tabella 1 - Dipendenza da import).

Il problema non è solo di scelta "nucleare sì, nucleare no", ma è più complesso. La tecnologia nucleare richiede grandi concentrazioni industriali che solo grandi compagnie a base scientifico-manageriale possono dare, massicci investimenti di capitali garantiti da grandi gruppi bancari, e una rigida regolamentazione nella sicurezza e nel controllo ottenibili solo da un'efficiente macchina statale. Le medie e le piccole imprese, forza economica dell'Italia, ne sono altresì fattore di debolezza quando bisogna affrontare i problemi che la costruzione di un nuovo sistema energetico pone. La Francia ha ridotto il ricatto energetico, l'Italia da questo ricatto è sempre fortemente dipendente.


Diversa la situazione tedesca. Nel 1971 la Germania, come la Gran Bretagna, poteva beneficiare di ricche riserve carbonifere, ma era un carbone di profondità, con alti costi di estrazione. La Germania ha quindi optato, tra il 1971 e il 2000, sia per lo sviluppo del nucleare che per la differenziazione delle forniture, ha ridotto drasticamente il suo import di petrolio dal Golfo Persico ed ha aumentato l'import di petrolio e gas naturale dalla Russia, dalla Norvegia e dal Mare del Nord. Anche la Francia e l'Italia hanno fortemente aumentato il consumo di gas naturale.

Pur avendo la Germania aumentato la propria dipendenza energetica dalle importazioni (tabella I), ci sono state modificazioni geografiche considerevoli delle fonti di importazione. La Gran Bretagna ha usufruito del petrolio del Mare del Nord, ed ha altresì sviluppato il nucleare, annullando la sua dipendenza energetica.

Nella risposta agli "shock" petroliferi del 1973 e del 1980, gli USA, che sulla carta partivano in vantaggio, alla fine si sono indeboliti. L'"eccezionalismo" statunitense aveva tra i suoi miti quello dell'autosufficienza energetica, già scombussolata a partire dagli anni Cinquanta dalla concorrenza col petrolio mediorientale. Oggi gli USA nel campo energetico sono diventati una Nazione "normale", nel senso che come gli altri Paesi dipendono dalle importazioni di energia.

La tabella I è significativa: nel 1971 gli USA importavano solo un decimo della propria energia, oggi ne importano più di un quarto; nel 1971 importavano un quarto del petrolio che consumavano, oggi ne importano più di metà. La dipendenza energetica statunitense dalle importazioni non è ancora ai livelli europei e giapponesi, ma ciò che è evidente è il trend divergente: mentre l'EU-15 ha ridotto l'incidenza dell'import energetico sul consumo di 11,8 punti, gli USA l'hanno aumentata di 17,2.

Un dato sintetizza le mutate relazioni di USA ed Europa nella lunga guerra energetica mondiale: l'import assoluto di energia (tabella 2 - Produzione e forniture - voce "saldo").

Nel 2000 l'import energetico complessivo USA è stato di 624 MTPE, sullo stesso livello delle 694 MTPE della EU-15; è una colossale modificazione sul 1971, quando l'import energetico europeo era quattro volte quello USA.

Trent'anni di sviluppo economico ineguale hanno equilibrato le relazioni transatlantiche nel settore dell'energia.