Cause della crisi dell'auto americana

11/11/12

11/11/12



Nei primi dieci anni del XXI secolo i tre grandi gruppi USA dell'automobile (Chrysler, Ford e General Motors) hanno perso 100 miliardi di dollari e licenziato più di 300 mila lavoratori.

Lo sviluppo capitalistico statunitense ha incontrato condizioni di abbondanza di materie prime come carbone, gas naturale e petrolio, con territori vastissimi e scarsità di forza-lavoro. Se confrontiamo l'Europa con gli USA, qui il prezzo di materie prime e combustibile era basso, mentre il costo del lavoro era alto. Questo ha comportato, per gli States, un incremento della meccanizzazione industriale che andasse a diminuire l'impiego di operai e forti investimenti nelle materie prime.

La crisi petrolifera del 1973 è stata il segnale d'arresto per la dipendenza energetica americana: la concorrenza aveva superato i due oceani. Il settore più colpito è stato quello dei trasporti e la borghesia dell'automobile, disorientata, ha dimostrato incertezza per i quarant'anni seguenti, tra continui cambiamenti di strategia, di manager, di forme di organizzazione industriale.


Il primo salvataggio della Chrysler

Forbes riporta la notizia che Lee Iacocca è sceso in campo in supporto di Mitt Romney durante le elezioni presidenziali USA che si sono tenute il 6 novembre scorso. Lee Iacocca è stato presidente della Ford dal 1970 al 1978, anno in cui venne licenziato da Henry Ford II per dei contrasti.

Nel novembre dell'anno successivo divenne presidente del CdA Chrysler ed un mese dopo al Congresso USA passava il Chrysler Loan Guarantee Act. L'Atto garantiva un credito di 1.5 miliardi di dollari da parte dei privati all'azienda di Auburn Hills (in Michigan), ormai in bancarotta. Questo comportò un obbligo da parte di Chrysler di tagliare i salari, i benefici sanitari e quelli pensionistici ai lavoratori.


Le due strategie produttive

In seguito alle crisi petrolifere del '73 e del 1980, le compagnie automobilistiche mondiali seguirono due strategie: core business e diversificazione. La prima venne seguita dai costruttori giapponesi, francesi e tedeschi, che basarono la produzione interamente sulle autovetture, mentre  le case statunitensi e la FIAT diversificarono la loro produzione.

Lo sviluppo e la commercializzazione di una nuova automobile è possibile solo dopo enormi investimenti in ricerca, costi fissi, fabbriche, marketing. I profitti si possono vedere solo dopo qualche anno e e con un certo numero di vendite sul mercato. I banchieri di Wall Street, tuttavia, sono abituati a ragionare su risultati immediati, difatti giudicano la salute delle aziende su base trimestrale. I manager americani, schiavi di questo sistema valutativo, non hanno mai potuto pianificare una strategia di lungo periodo.

Il capitale finanziario statunitense è in parte responsabile della crisi del 2007, ma anche della crisi industriale americana.

Con lo sviluppo della cosiddetta new economy di metà anni Novanta, l'industria automobilistica venne declassata a old economy. Ma quando scoppiò la bolla della new economy a fine 2001, guastò i sogni delle Big Three di Detroit e della FIAT, che nel frattempo mirava a diventare la General Electric europea.


Nel 2004 Sergio Marchionne venne nominato amministratore delegato di FIAT e la prima cosa che fece fu spostare la strategia del gruppo dalla diversificazione al core business, mentre i cugini di Detroit sono rimasti alla vecchia strategia.


Verso la nuova crisi

Anche General Motors provò a diversificare la propria produzione, con calma, nel 1984, anno in cui comprò la Electronic Data Systems (EDS) per 2.5 miliardi. L'anno dopo acquistò la Hughes Aircraft per 5 miliardi di dollari. Soldi sprecati.

Nello stesso anno la Chrysler comprò la compagnia aerospaziale Gulfstream. Lee Iacocca acquistò anche compagnie di credito al consumo e ristrutturò la Chrysler come una holding, nella quale la divisione auto (Chrysler Motors) veniva affiancata da Chrysler Financial, Gulfstream e Chrysler Technologies.

La Ford non fu da meno, spendendo 6 miliardi in diversificazione della produzione. Tra il 1984 e il 1989 le tre grandi di Detroit spesero 20 miliardi di dollari in acquisizioni di aziende che nulla c'entravano con il loro core business. Allo stesso tempo, i costruttori giapponesi investivano nell'auto e aprivano fabbriche negli Stati Uniti.

Nel 1998 a capo della Ford salì Jacques Nasser e la portò da car company a consumer company, ridimensionando le attività industriali ed espandendosi in ogni settore dei servizi, dal credito al consumo alla riparazione di veicoli. Egli distrusse la storia industriale della Ford in soli tre anni, e con essa portò i profitti da 7 miliardi a poco più di 3.4. Il 30 ottobre del 2001 Nasser venne licenziato.

Dal 2002 al 2006 gli USA hanno vissuto il più grande boom immobiliare della storia e il ramo finanziario di General Motors, GMAC, scommise sul boom. Il suo core business si spostò dal finanziamento degli acquisti delle auto e dei concessionari, a quello dei mutui immobiliari. I risultati furono impressionanti: nel 2004 i tre quarti dei profitti del gruppo provenivano dal ramo finanziario. Quando quattro anni dopo crollò il mercato immobiliare, la crisi dell'industria dell'auto di Detroit fu inevitabile.