Contro la sperimentazione animale, in questi mesi, urla a gran voce una parte del web. Da un lato i ricercatori e la comunità scientifica internazionale, dall'altro gli "animalisti" utenti di social network come Facebook si scontrano su una questione che, qui, cercheremo di spiegare meglio: esistono alternative alla sperimentazione animale a fini biomedici?
Animali torturati e usati come cavie. Ricercatori dipinti come crudeli assassini. Insulti, minacce, illazioni, offese, e perfino azioni dimostrative di liberazione degli animali dagli stabulari, sono spesso al centro della cronaca in merito alla questione della sperimentazione animale e delle pratiche alternative a questa.
Stiamo parlando di ricerca scientifica per fini biomedici, e non cosmetici. Non essendo io un sostenitore della cosmetica e di tutte le effimere illusioni del sistema sociale in cui ancora viviamo, non ho dubbi sul fatto che questi prodotti non debbano essere testati sugli animali. L'Unione Europea ha giustappunto vietato test cosmetici sugli animali a partire dall'11 marzo scorso.
Che cos'è la sperimentazione?
Per poter produrre industrialmente un farmaco, ad esempio, e diffonderlo, non basta avere conoscenze di farmacologia. Ci vogliono circa dieci anni di ricerca, un tempo ragionevole che serve per provare con la pratica ciò che si è ipotizzato/scoperto in teoria. Questa ricerca non può essere condotta direttamente sull'essere umano come successe quando la scienza era ancora immatura, per una serie di motivi che conosceremo più avanti.
In cosa consiste questa ricerca?
Le tappe pratiche della ricerca scientifica sono due. Nella fase preclinica rientrano tutti quei test utili a verificare l'eventuale tossicità del farmaco e quindi a validare il principio di base primum non nocere (anzitutto non nuocere). In questa fase si verificano e si scoprono quindi tutti gli effetti positivi e negativi del principio attivo del futuro farmaco.
La fase clinica si avvia solamente se il farmaco supera i test del precedente step. La sperimentazione viene eseguita direttamente su pazienti umani, nei termini che analizzeremo in seguito.
La fase preclinica (durata media 2-3 anni)
Il primo passo pratico della sperimentazione scientifica avviene in laboratori specializzati in cui vengono eseguiti studi complementari/computazionali e studi in vitro: i test vengono fatti in provette o piastre di Petri contenenti sia colture microrganiche o cellulari, sia la molecola oggetto di studio. Il limite della sperimentazione in vitro è la non complessità della cellula o microrganismo sui cui si sta testando, ma è una base di partenza doverosa che serve a escludere una eventuale tossicità della nostra molecola.
Solo nel caso in cui si notino degli effetti positivi di tale molecola, è possibile passare agli studi in vivo. Qui si sperimenta direttamente su animali, in quanto organismi complessi, con organi e tessuti connessi fra loro, rispetto alle colture cellulari o microrganiche.
Gli animali non vengono scelti a caso, ma si scelgono dei modelli (ognuno dei quali è appunto chiamato "modello animale") in base alle loro caratteristiche biologiche conosciute e al ramo scientifico interessato. Ad esempio, negli studi di genetica è preferibile utilizzare il moscerino della frutta (Drosophila melanogaster). In chirurgia, tossicologia o nelle neuroscienze (in neurofisiologia l'ha fatta da padrone Aplysia californica, una specie di lumaca di mare) abbiamo spesso organismi più simili all'uomo come cani, gatti, primati o ratti: la loro diffusione nei laboratori, però, è molto bassa, soprattutto per i costi veterinari e di mantenimento. Il modello animale utilizzato per riprodurre una patologia umana deve essere oggetto di validazione: cause, sintomi e reazioni devono essere uguali a quelli umani.
Esemplare di Drosophila melanogaster e il suo muscolo cardiaco |
La fase clinica (durata media 7-8 anni)
Si arriva alla sperimentazione clinica, ossia direttamente sull'uomo, solo se viene superata quella preclinica in merito alle questioni tossiche. Questa sperimentazione è a sua volta divisa in tre fasi, dopodiché si passa all'autorizzazione per la produzione e diffusione in commercio (da noi questa autorità è l'AIFA, Agenzia Italiana del FArmaco, simile alla Food and Drug Administration statunitense, l'FDA).
- Durante la fase 1 si valuta il profilo beneficio/rischio. In alcuni centri vengono selezionati dei gruppi di pazienti sani o malati a seconda dei casi e si osservano gli effetti collaterali del principio attivo. Quelli che sui bugiardini vengono chiamati "effetti indesiderati". Se il livello di tossicità è inferiore ai benefici dati dalla molecola oggetto dei test, allora si passa allo step successivo
- La fase 2, cosiddetta "esplorativa", si propone sia di certificare gli effetti terapeutici del futuro farmaco, sia di fissare le dosi in base ai diversi fattori dei pazienti malati sottoposti al test. È qui che entra in scena il prodotto placebo, se è possibile dal punto di vista etico: alcuni pazienti assumono una sostanza che non ha alcuna efficacia terapeutica, senza che essi lo sappiano (studio singolo cieco). Talvolta nemmeno i medici lo sanno (studio a doppio cieco)
- L'ultima è la fase 3, quella dello studio clinico e quella più lunga perché può durare addirittura fino a quattro/cinque anni. Questo ultimo step vede decuplicate o centuplicate le decine di pazienti delle due fasi precedenti che, sempre divisi in gruppi e con l'ausilio di placebo in singolo e doppio cieco, assumono casualmente il nuovo principio attivo o il farmaco di controllo, ossia quello già in uso per la patologia in oggetto. L'obiettivo è sempre quello di ridurre, se non azzerare, gli errori e le influenze umane sulla sperimentazione
- Passata positivamente questa fase, tutta la documentazione viene sottoposta all'autorità che si occuperà di controllare la correttezza dei dati e delle procedure prima di autorizzare l'immissione in commercio del farmaco
Vivisezione e sperimentazione completamente umana
Le due obiezioni principali che sollevano gli antagonisti della sperimentazione animale biomedica ai ricercatori sono sull'uso della vivisezione e sulla sperimentazione diretta sull'essere umano.
In merito al primo punto c'è poco da dire: il termine "vivisezione" indica l'incisione di un tessuto animale vivo, sia esso sotto anestetici o meno. Sebbene dal punto di vista letterale più generico possa indicare qualsiasi sperimentazione condotta su un animale, secondo la terminologia tecnica biologica l'atto del sezionare un animale vivo (sempre per scopi biomedici) è solo uno dei procedimenti che si possono utilizzare in ricerca, quindi è errato confonderlo con la sperimentazione animale. Il termine, inoltre, viene utilizzato dalla "propaganda animalista" per fare colpo sulla sensibilità dei lettori/ascoltatori. Proprio come usano i teneri cuccioli di Beagle anziché il brutto moscerino della frutta.
Perché non si fa ricerca direttamente sull'uomo? Questa domanda avrebbe anche un senso logico, ma il problema è che non ne ha uno scientifico. O, meglio, la scienza si è già posta il quesito e ne ha trovato la risposta (confermata continuamente dai fatti). Di seguito riassumiamo i principali motivi a spiegazione del metodo di sperimentazione attuale:
- la durata di vita è lunga e il metabolismo è lento: è possibile che un farmaco assunto in un'età in cui gli organi non sono sviluppati, ad esempio, abbia effetti tossici nel lungo periodo. Sperimentare direttamente sull'uomo e non su animali che hanno metabolismo molto veloce e ciclo di vita molto breve (di ore/giorni/mesi) vorrebbe dire impiegare molti decenni per ciascun principio attivo
- l'uomo è un essere consapevole: lo stress prodotto dalla consapevolezza di essere sottoposti a un esperimento sarebbe eccessivo e inficerebbe la sperimentazione
- storia clinica incerta o sconosciuta: le cavie umane dovrebbero nascere e crescere in appositi "campi" così da conoscerne sempre lo stile di vita e le azioni, proprio come in qualche libro/film di fantascienza. O come prospettava (e attuava) l'eugenetica di Josef Mengele o Pinochet con la sua DINA
- malattie animali: su chi/cosa sperimentiamo farmaci per curare gli animali?
- etica: se la tossicità di un farmaco non passasse il filtro odierno degli studi in vitro e in vivo, ma si abbattesse direttamente su, ad esempio, madri e feti, sarebbe forse eticamente accettabile? Il caso del Talidomide, un farmaco sedativo in commercio a fine anni Cinquanta, è emblematico: lo studio fu condotto dall'azienda farmaceutica produttrice in maniera pessima e non venne testato su animali gravidi, con la conseguenza che i suoi effetti teratogeni, cioè prodotti su alcuni organi fetali, furono tossici. Circa 1500 bambini tra il 1957 e il 1961 (anno di ritiro dal commercio del Talidomide) nacquero con arti malformati, colpiti da focomelia
Conclusioni
Le campagne ideologiche che si basano sulla supposta (e falsa) crudeltà di tutti i ricercatori mondiali sono e rimangono accuse senza senso alla prova dei fatti. Molti di questi scienziati studiosi amano gli animali, difatti l'obiettivo che si danno è la cosiddetta "regola delle tre R", proposta più di cinquant'anni fa dallo zoologo William Russell e dal microbiologo Rex Burch nel loro The Principles of Humane Experimental Technique (1959):
- Replacement: sostituzione della sperimentazione animale con più metodi alternativi e complementari possibili
- Reduction: riduzione al minimo di esemplari animali utilizzati negli esperimenti
- Refinement: miglioramento delle condizioni di vita degli animali negli stabulari
Ad oggi, purtroppo, non esistono metodi alternativi alla sperimentazione animale per fini biomedici. Ipotizzando per assurdo che ve ne fossero, sarebbe il caso che vengano presto alla luce. Per ora non esiste alcuna pubblicazione scientifica che supporti la tesi sui metodi alternativi alla sperimentazione animale.
Se trovate un vero metodo alternativo, diffondetelo all'umanità. Così come milioni di scienziati hanno impiegato e impiegano la propria vita per trovare soluzioni alle malattie. Per l'uomo e per gli animali.