Prima parte, seconda parte
James Watt, nato in Scozia nel 1736, non era un ingegnere, ma un costruttore di strumenti matematici. Figlio di un armatore e nipote di un matematico e insegnante di navigazione, fece di quella che per molti è per antonomasia la "scienza esatta" la sua professione. Nel 1754 il giovane Watt si trasferì a Glasgow, quando la città era ancora ai principi dell'industrializzazione, per diventare costruttore di strumenti matematici, essenziali per la navigazione e le rilevazioni topografiche. Ottenuto dall'Università di Glasgow il permesso per l'apertura di un suo laboratorio, Watt conobbe due persone che influirono sulla sua futura carriera: il docente di anatomia e di chimica Joseph Black (1728-1799) e John Roebuck (1718-1794) che nel 1745 divenne il fautore della produzione su scala industriale dell'acido solforico, una delle sostanze più importanti e diffuse nell'industria chimica.
Un rendez-vous casuale
Un rendez-vous casuale
A fare incontrare James Watt con la macchina atmosferica di Newcomen fu semplicemente il caso. Nel 1763 il professor John Anderson (1726-1796) chiese a Watt di riparare il modello di macchina di Newcomen nella facoltà di filosofia naturale (allora la fisica era chiamata così) dell'Università di Glasgow. Il modello si bloccava dopo pochi giri, e James Watt si chiese come mai una riproduzione esattamente in scala non dovesse funzionare quando la macchina originale, invece, non aveva problemi. Da matematico capì che la risposta poteva trovarsi nelle proporzioni.
Un modello di caldaia che ha un'altezza e un diametro pari alla metà di quelle di Newcomen, ha un quarto della superficie e un ottavo del volume di quella reale. Inoltre c'erano gli attriti da calcolare, perché in quella riproduzione era maggiore il rapporto tra superficie e volume, quindi c'era più attrito. Questo portava il vapore necessario a terminare prima e la sfida di Watt consisteva quindi sia nel "risparmiare vapore", sia nel ridurre gli attriti. La risoluzione di questi problemi fu il grande passo della trasformazione della macchina atmosferica in macchina a vapore.
La caratteristica principale di James Watt, meccanico ma anche fisico e chimico, era la capacità di unire la scienza con le applicazioni pratiche. La matematica, materia base del nostro scozzese, nei primi del secolo XVII era più utilizzata come strumento dagli artigiani che come disciplina intellettuale nelle università. La storia della scienza non si può scindere da quella degli strumenti scientifici: dai telescopi ai barometri, dai micrometri ai cronometri, lo strumento scientifico è il mezzo di lavoro dello scienziato attraverso cui verifica le sue ipotesi e studia la natura. Prima dell'industrializzazione della scienza del XX secolo, lo scienziato era anche artigiano che si costruiva gli strumenti da sé. Ne sono un esempio Newton e Galileo, ma anche James Watt. Fin dall'inizio il costruttore scozzese cercò di capire il funzionamento della macchina di Newcomen in tutti i suoi componenti con la lente d'ingrandimento della scienza fisica e con l'aiuto della strumentazione da laboratorio.
Dalla macchina atmosferica a quella a vapore
Dalla macchina atmosferica a quella a vapore
L'invenzione del motore a vapore, come ogni invenzione, è un processo cumulativo secolare di migliaia di piccoli passi tecnologici ad opera di persone sconosciute: i grandi scienziati sono contemporaneamente la sintesi di esperienze passate, di discontinuità con i secoli precedenti ma anche di rottura grazie all'introduzione di nuovi principi sui quali si svilupperanno scienza e tecnologie future.
Il primo passo di Watt fu quello di aggiungere un cilindro, detto condensatore, in modo tale che il primo rimaneva sempre caldo e il secondo sempre freddo. Dividere in due un problema (troppo vapore utilizzato per mantenere un cilindro sia caldo che freddo) è un classico approccio matematico. Ma il risparmio di vapore non era ancora sufficiente, perché la pressione dell'atmosfera che agiva sul pistone raffreddava il cilindro metallico. La seconda innovazione consistette nell'isolare il cilindro dall'atmosfera, immettendo vapore anche nella parte superiore. Fu così che la macchina atmosferica di Newcomen si trasformò in macchina a vapore di Watt.
Nella macchina di Newcomen il vapore serviva a far lavorare l'atmosfera, fonte gratuita e infinita di potenza come abbiamo già scritto: non si pensava al risparmio di vapore e, quindi, di carbone. Nella macchina di Watt è il vapore a lavorare, e non l'atmosfera. Il carbone passò così da ausiliario con Newcomen a essere fondamentale con Watt. Questo salto concettuale fu essenziale, perché era in corso la formazione di una borghesia industriale guidata dal senso del profitto e attenta ai costi di macchinari, materie prime e forza-lavoro.
Il principio del ridurre il vapore sprecato o, meglio, non utilizzato, è la base su cui si sviluppa tuttora la scienza termodinamica, che è passata poi dallo spreco di calore e oggi parla più in generale di energia sprecata.
Finanziamenti e ricerca scientifica
Con James Watt e la sua macchina a vapore inizia un processo di definizione di criteri oggettivi su cui agire per ridurre i costi e aumentare il rendimento delle macchine. Per potersi affermare la macchina a vapore doveva nel complesso costare meno di quanto denaro veniva speso nella macchina atmosferica, carbone compreso. Le modifiche di James Watt aumentarono di quattro volte l'efficienza termica del macchinario, con un consumo di combustibile di 3,4 kg/h per CV contro i quasi 14 dell'atmosferica.
La macchina a vapore uscì dal laboratorio per entrare nell'industria quando il chimico Joseph Black fece conoscere a Watt l'imprenditore industriale Roebuck che, entusiasta, gli propose un accordo: il capitale per la realizzazione del macchinario doveva essere compensato dai due terzi dei profitti ricavati dalla vendita dello stesso. Le difficoltà tecnologiche ed economiche da superare, tuttavia, erano ancora consistenti. Nel 1767 Roebuck presentò a Watt gli amici industriali Matthew Boulton (1728-1809) e William Small (1734-1775) che nella loro manifattura vicino Birmingham avevano problemi con l'apporto di acqua al mulino.
La loro idea fu quella di utilizzare il motore a vapore in aiuto alla ruota idraulica per il pompaggio di acqua. Questo è un esempio che dimostra la non linearità delle scoperte scientifiche e delle innovazioni tecnologiche: queste sono il frutto, imprevedibile a priori, della potenza creativa del pensiero umano quando ha di fronte problemi da risolvere. In questo caso la macchina a vapore non fu un'alternativa, ma uno strumento ausiliario.
La manifattura di Boulton produceva bottoni di lusso, fibbie, catenelle per orologi e altri prodotti in argento. La continuità produttiva di questi prodotti di lusso era più importante del costo della macchina. Boulton pensava in grande, e a febbraio del 1769 scrisse a Watt:
L'inventore di Glasgow aveva trovato l'imprenditore giusto in grado di industrializzare le sue scoperte e di introdurre in fabbrica la precisione dei suoi strumenti. Precisione che, nel secolo XX fu uno degli elementi fondamentali del fordismo.
Roebuck vendette i diritti a Boulton, che si impegnò a pagare a Watt anche tutte le spese passate e i costi dei futuri esperimenti. In cambio Watt si impegnava a portare avanti i suoi progetti. Fu il primo caso di industrializzazione della scienza con la ricerca scientifica finanziata dall'industria.
La nuova era energetica
L'applicazione della macchina a vapore nell'industria era limitata dalla trasmissione alternata del moto: in questo la ruota idraulica con il moto rotatorio le era superiore. Per dare alla macchina a vapore un impiego universale e più efficiente era necessaria un'ulteriore innovazione, la biella e la manovella, in modo tale da trasformare il moto rettilineo alternato del pistone nel cilindro in moto rotatorio dell'albero motore. Questa invenzione è oggi a bordo di ogni automobile. Watt introdusse anche una nuova unità di misura, il cavallo vapore (CV). Lo scopo era prettamente commerciale: per vendere bisognava dare un'immagine economica agli imprenditori e dir loro quanti cavalli da tiro sostituiva l'acquisto della sua invenzione.
Con la macchina a vapore si affermò il vantaggio dei combustibili fossili sulle fonti rinnovabili: la forza del vento e l'energia idraulica non erano abbondanti e affidabili, anche perché il vento è per sua natura incostante e i corsi d'acqua possono prosciugarsi. Dopo millenni di dipendenza da queste fonti energetiche, la macchina a vapore di Watt permise lo sfruttamento di una fonte di energia abbondante e a basso prezzo: il carbone.
Il primo passo di Watt fu quello di aggiungere un cilindro, detto condensatore, in modo tale che il primo rimaneva sempre caldo e il secondo sempre freddo. Dividere in due un problema (troppo vapore utilizzato per mantenere un cilindro sia caldo che freddo) è un classico approccio matematico. Ma il risparmio di vapore non era ancora sufficiente, perché la pressione dell'atmosfera che agiva sul pistone raffreddava il cilindro metallico. La seconda innovazione consistette nell'isolare il cilindro dall'atmosfera, immettendo vapore anche nella parte superiore. Fu così che la macchina atmosferica di Newcomen si trasformò in macchina a vapore di Watt.
Nella macchina di Newcomen il vapore serviva a far lavorare l'atmosfera, fonte gratuita e infinita di potenza come abbiamo già scritto: non si pensava al risparmio di vapore e, quindi, di carbone. Nella macchina di Watt è il vapore a lavorare, e non l'atmosfera. Il carbone passò così da ausiliario con Newcomen a essere fondamentale con Watt. Questo salto concettuale fu essenziale, perché era in corso la formazione di una borghesia industriale guidata dal senso del profitto e attenta ai costi di macchinari, materie prime e forza-lavoro.
Il principio del ridurre il vapore sprecato o, meglio, non utilizzato, è la base su cui si sviluppa tuttora la scienza termodinamica, che è passata poi dallo spreco di calore e oggi parla più in generale di energia sprecata.
Finanziamenti e ricerca scientifica
Con James Watt e la sua macchina a vapore inizia un processo di definizione di criteri oggettivi su cui agire per ridurre i costi e aumentare il rendimento delle macchine. Per potersi affermare la macchina a vapore doveva nel complesso costare meno di quanto denaro veniva speso nella macchina atmosferica, carbone compreso. Le modifiche di James Watt aumentarono di quattro volte l'efficienza termica del macchinario, con un consumo di combustibile di 3,4 kg/h per CV contro i quasi 14 dell'atmosferica.
La macchina a vapore uscì dal laboratorio per entrare nell'industria quando il chimico Joseph Black fece conoscere a Watt l'imprenditore industriale Roebuck che, entusiasta, gli propose un accordo: il capitale per la realizzazione del macchinario doveva essere compensato dai due terzi dei profitti ricavati dalla vendita dello stesso. Le difficoltà tecnologiche ed economiche da superare, tuttavia, erano ancora consistenti. Nel 1767 Roebuck presentò a Watt gli amici industriali Matthew Boulton (1728-1809) e William Small (1734-1775) che nella loro manifattura vicino Birmingham avevano problemi con l'apporto di acqua al mulino.
La loro idea fu quella di utilizzare il motore a vapore in aiuto alla ruota idraulica per il pompaggio di acqua. Questo è un esempio che dimostra la non linearità delle scoperte scientifiche e delle innovazioni tecnologiche: queste sono il frutto, imprevedibile a priori, della potenza creativa del pensiero umano quando ha di fronte problemi da risolvere. In questo caso la macchina a vapore non fu un'alternativa, ma uno strumento ausiliario.
La manifattura di Boulton produceva bottoni di lusso, fibbie, catenelle per orologi e altri prodotti in argento. La continuità produttiva di questi prodotti di lusso era più importante del costo della macchina. Boulton pensava in grande, e a febbraio del 1769 scrisse a Watt:
La mia idea è di aprire una fabbrica vicina alla mia per la produzione dei motori da vendere in tutto il mondo. Con questi mezzi e la vostra assistenza noi potremmo impegnarci a istruire eccellenti operai, con strumenti eccellenti, che potrebbero produrre il motore a un costo del 20% inferiore di quanto sarebbe con altri mezzi, e con la grande differenza di precisione che c'è tra un fabbro e un costruttore di strumenti matematici. Non avrebbe valore produrre per sole tre contee, ma avrebbe farlo per l'intero mondo.
L'inventore di Glasgow aveva trovato l'imprenditore giusto in grado di industrializzare le sue scoperte e di introdurre in fabbrica la precisione dei suoi strumenti. Precisione che, nel secolo XX fu uno degli elementi fondamentali del fordismo.
Esempio geometrico di funzionamento meccanico della macchina a vapore di Watt |
Roebuck vendette i diritti a Boulton, che si impegnò a pagare a Watt anche tutte le spese passate e i costi dei futuri esperimenti. In cambio Watt si impegnava a portare avanti i suoi progetti. Fu il primo caso di industrializzazione della scienza con la ricerca scientifica finanziata dall'industria.
La nuova era energetica
L'applicazione della macchina a vapore nell'industria era limitata dalla trasmissione alternata del moto: in questo la ruota idraulica con il moto rotatorio le era superiore. Per dare alla macchina a vapore un impiego universale e più efficiente era necessaria un'ulteriore innovazione, la biella e la manovella, in modo tale da trasformare il moto rettilineo alternato del pistone nel cilindro in moto rotatorio dell'albero motore. Questa invenzione è oggi a bordo di ogni automobile. Watt introdusse anche una nuova unità di misura, il cavallo vapore (CV). Lo scopo era prettamente commerciale: per vendere bisognava dare un'immagine economica agli imprenditori e dir loro quanti cavalli da tiro sostituiva l'acquisto della sua invenzione.
Con la macchina a vapore si affermò il vantaggio dei combustibili fossili sulle fonti rinnovabili: la forza del vento e l'energia idraulica non erano abbondanti e affidabili, anche perché il vento è per sua natura incostante e i corsi d'acqua possono prosciugarsi. Dopo millenni di dipendenza da queste fonti energetiche, la macchina a vapore di Watt permise lo sfruttamento di una fonte di energia abbondante e a basso prezzo: il carbone.