La minacciata chiusura dello stabilimento friulano di Porcia da parte del Gruppo svedese Electrolux (tra i marchi italiani della multinazionale ricordiamo Castor, REX, Zanussi, Zoppas) ha dato risalto mediatico, sgonfiato come sempre pochi giorni dopo, alla crisi italiana del settore degli elettrodomestici e servito un assist alla proposta dell'Unindustria di Pordenone per l'adozione di zone salariali speciali nelle aree di crisi.
Nonostante Electrolux abbia temporaneamente rinunciato alla chiusura dello stabilimento di Porcia, ma spostando 1200 esuberi al 2018, nel primo degli incontri tenutosi ieri con i sindacati è rimasta ferma sulle sue posizioni in merito all'aumento della produttività e alla diminuzione delle pause di lavoro. Nel merito si entrerà nelle riunioni del 28 aprile, in cui i sindacati dovranno capire quanto questi tagli del costo del lavoro potrebbero impattare su stipendi e sicurezza negli ambienti produttivi.
L'associazione padronale del settore CECED (Conseil Européen de la Construction d’appareils Domestiques, in Italia Associazione Nazionale Produttori Apparecchi Domestici e Professionali), fornisce le cifre di quella che definisce una "desertificazione industriale" imminente. Tra il 2007 e il 2012 la produzione annua nazionale di grandi elettrodomestici bianchi (ossia frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie) si è ridotta da 24 a 13 milioni, con un calo dei dipendenti da 54 a 32 mila.
Una tesi non convincente
Pierre Ley e Giuseppe Geneletti sono manager del gruppo americano Whirlpool, che in Italia ha assorbito il marchio Ignis. In diverse riprese hanno sostenuto la tesi che vede fuorviante pensare agli elettrodomestici come a "dinosauri tecnologici", e che il settore ha conosciuto nei decenni un'evoluzione tecnologica che è seconda soltanto a quella dell'informatica e delle telecomunicazioni. Un moderno frigorifero di classe A+++, infatti, consuma un decimo di quelli prodotti negli anni '60, offrendo il doppio di capacità.
Il problema che affligge il settore, secondo Whirlpool, è piuttosto quello di una marginalità ridotta all'osso. Per l'acquisto di una FIAT 500 serviva a fine anni Cinquanta il salario medio di un anno, per quello di un frigorifero l'equivalente di sei mesi di lavoro. Oggi per comprare un'utilitaria servono circa nove mensilità, ma per un frigorifero o una lavatrice bastano al massimo un paio di settimane.
La tesi dello sviluppo tecnologico comparato non pare quindi trovare una base nei dati oggettivi. D'altronde le innovazioni citate dallo stesso Ley come l'utilizzo del poliuretano per l'isolamento o quello dei compressori a più basso consumo, risalgono a mezzo secolo fa. Il costo di un frigorifero, inoltre, si era già ridotto a due mesi di salario negli anni '70.
Mercato saturo nel vecchio Occidente
Secondo la GIFAM (Groupement Interprofessionnel des Fabricants d'Appareils Ménagers), associazione francese del settore, il frigorifero è presente in Francia 99 abitazioni su 100, la lavastoviglie in 59 e sommando gli altri grandi elettrodomestici, dai forni alle asciugatrici, si arriva a 6,9 elementi in media nel 2011, un dato non molto distante dai 6,3 di dieci anni prima. Gli elettrodomestici bianchi hanno inoltre un tasso di rinnovo lento: CECED calcola che nell'Unione Europea ce ne siano 188 milioni, circa uno per famiglia, che hanno oltre dieci anni di vita.
La crisi economica scoppiata nel 2007 ha sicuramente inciso sul consumo, ma la dinamica era già rallentata nel decennio scorso. Tra il 1992 e il 2002 i consumi sono cresciuti in volume nell'Europa occidentale di un magro 3,2%, mentre nell'Europa orientale del 21.
L'industria degli elettrodomestici bianchi è direttamente collegata a fattori come la demografia, il modello di famiglia, gli alti e bassi del settore immobiliare. Ma c'è di più. Nell'opulento Occidente, dove c'è un'alta industrializzazione, non ci sono più le condizioni ottimali per una rapida crescita: una popolazione giovane e in aumento, in via di urbanizzazione, e con un reddito disponibile crescente.
In queste condizioni le aziende pensano a soluzioni incentivanti. Una è costituita dagli elettrodomestici da incasso, quelli da vendere, a margini superiori, in combinazione con i mobili della cucina. È questa la produzione che Whirlpool intende potenziare nel polo del varesotto. U'altra è la domotica, combinazione di informatica ed elettrodomestici. Ma i tempi, almeno in Italia, non sono maturi per questa tecnologia, nonostante ci siano un'alta diffusione dei devices mobili e una buona riduzione dei costi tecnologici.
Due sguardi a Est
Nelle grandi città costiere cinesi il tasso di penetrazione dei frigoriferi è praticamente il 100% e quello delle lavatrici il 95. Ma attorno all'88% per i primi e al 48% per le secondo nelle indiane Delhi, Mumbai e nell'indonesiana Giakarta. Un anno fa al Forum di Davos, l'industriale indiano Adi Godrej ha parlato di potenzialità esplosive per il settore: il suo Gruppo, che si diversifica in immobili, ingegneria industriale, prodotti agricoli e prodotti tecnologici al consumo, ha aumentato nel 2012 le vendite di questi prodotti del 19% nelle piccole città e del 40% nei villaggi.
Il ministero del Commercio di Pechino ha fatto un bilancio del pacchetto di stimolo anticrisi in vigore tra il 2009 e il 2012: venduti con meccanismo incentivato 298 milioni di grandi elettrodomestici nelle aree rurali del Paese, equivalenti al 28% di tutto il consumo nazionale (270 milioni di unità all'anno).
Non stupiscono la posizione di leader per fatturato della cinese Haier, l'irruzione di aziende emergenti come la turca Arçelik (controllata dalla holding Koç, il primo gruppo in Turchia) e la messicana Mabe (che collabora con General Electric in America Latina) e nemmeno, da ultimo, la distribuzione globale di poli produttivi e addetti che caratterizza i gruppi storici del settore.
La produzione dei componenti base degli ingombranti elettrodomestici bianchi può essere completamente trasferita in aree con basso costo della mano d'opera, ma il loro assemblaggio finale ha un carattere regionale, perché deve restare per forza di cose relativamente vicino al mercato di consumo. Il trasporto via mare sulle lunghe distanze non è conveniente. Un frigorifero da 350 litri ha lo stesso prezzo di un PC portatile, ma in un container da 20 piedi se ne possono stipare una trentina, contro un migliaio di notebook. Quel che è successo per telefonino e tablet, insomma, non sembra in questo caso possibile.
In ambito regionale la logistica pesa circa un decimo dei costi finali dell'elettrodomestico, contro un 15-20% del monte salari. Una buona organizzazione dei grandi centri di distribuzione e un maggior ricorso al trasporto intermodale (ossia con mezzi diversi) costituiscono altrettanti vantaggi nella competizione fra gruppi. Se presenti, sono anche un incentivo a concentrare alcune produzioni in Est Europa, che da molti anni attira i produttori stranieri grazie al basso costo del lavoro, a una burocrazia facilmente superabile, a scarse le normative ambientali e forza sindacale, nonché alla corruzione politica ben maggiore di quella italiana.
Un falso problema
Come giustificazione per la tentata chiusura dello stabilimento di lavatrici di Porcia, la Electrolux Italia prende la tassazione del lavoro. Secondo alcune stime, abbracciate dall'azienda, il cuneo fiscale italiano dovrebbe passare dall'attuale 45% al 25%. Gli operai continuerebbero così a mantenere invariato il proprio stipendio netto, ma allo Stato entrerebbe un 20% in meno di tasse.
Electrolux trova la colpa della propria crisi italiana nell'elevata pressione fiscale, ma quel che non dice pubblicamente, con buona pace dei grillini, ad esempio, è che per anni la famiglia Wallenberg a capo del Gruppo ha usato la Electrolux come "banca" da cui attingere per finanziare le altre numerose aziende del gruppo. Non parla nemmeno dei compensi di centinaia di migliaia di euro dei due CEO (nei CdA di un bel po' di aziende, tra l'altro). Non dice che sono andati, inutilmente visti i risultati, in Polonia e Ungheria per "massimizzare i profitti". Non dice, da ultimo, che mentre la Electrolux ha perso la metà della sua quota di mercato europea (dal 24% al 12 negli ultimi dieci anni), i competitors Whirlpool, Bosch e Samsung, ad esempio, hanno aumentato i loro profitti proprio qui da noi, in Italia.
Se il vero problema di Electrolux Italia fosse la tassazione, come mai le sue concorrenti aumentano i profitti? Non sarà forse la solita scusa "politicamente migliore" per levare le tende e portare la produzione in Est Europa? Forse non le sono bastati i 700 lavoratori lasciati a casa nel 2008 dall'impianto fiorentino di Scandicci.
Ci volevano i soldi e le capacità manageriali nordiche per salvare dal fallimento l'indebitata Zanussi trent'anni fa. Oggi chi salverà questi lavoratori dalla sete dell'azienda?