Il motore dell'auto è in Asia

04/01/10

04/01/10


La crisi finanziaria che ha creato nuovi licenziamenti e fusioni nel settore automobilistico (in particolare quello USA), diffusasi due anni fa in tutto il mondo, sembra non aver toccato negativamente il nuovo gigante asiatico dell'auto.

Giappone e Cina, infatti, non solo restano al primo e secondo posto nella produzione mondiale di automobili, ma ne vedono un incremento dal 2000 ad oggi, con la Cina che produce nel 2008 9,3 milioni di autovetture (erano 2 mln nel 2000) e il Giappone 11,6. Seguono gli USA con 8,7 milioni di auto fabbricate nel 2008. Grazie anche ai 2,3 milioni dell'elefante indiano (+1,5 mln dal 2000) è l'Asia ad essere il primo polo produttivo di automobili con quasi 32 milioni di veicoli sfornati l'anno scorso. Il superamento degli asiatici a discapito dell'Unione Europea e del NAFTA (USA, Canada, Messico) l'abbiamo nel 2002: all'epoca l'Oriente produsse 20,1 milioni di veicoli contro i 18.2 degli europei; europei che già superarono i Paesi del NAFTA due anni prima, con 18,6 milioni di unità prodotte contro 17,6.

Le tendenze sono le stesse anche per quel che riguarda le immatricolazioni: nel caso in cui la Cina dovesse seguire l'esempio coreano, nei prossimi trent'anni avrà in circolazione mezzo miliardo di automobili (dal 1980 al 2008 in Sud Corea i veicoli sono aumentati da 14 per mille abitanti a 336).

Sviluppo e ineguale sviluppo

Il capitalismo, nel suo gioco mortale di ascesa e declino delle grandi potenze, produce uno sviluppo ineguale nel pianeta: Paesi avanzati come USA, Europa e Giappone da un lato e parte dell'Africa, dell'Oceania, del Sud America, ad esempio, dall'altro.

Gli Stati emergenti come l'India, il Brasile o la Cina, però, non sono partiti da zero per l'assalto al podio: la rivoluzione industriale c'è già stata in Inghilterra nel 1800 e questi Paesi dovevano solo dare il via all'elettrificazione. Diceva bene l'economista Alexander Gerschenkron quando sosteneva la teoria economica del vantaggio dell'arretratezza (Il problema storico dell'arretratezza economica, 1965). Secondo questa tesi, i Paesi in via di sviluppo, appunto, avrebbero potuto viaggiare ad un ritmo superiore rispetto alle regioni industrializzate grazie all'utilizzo delle tecnologie più avanzate di questi ultimi.


Ma l'ineguale sviluppo nel capitalismo è anche condizione interna agli Stati: un esempio lampante di questi giorni è il "treno proiettile" cinese utilizzato nella zona più industrializzata della regione in contrasto con la pochezza di crescita in molte zone rurali cinesi.


Il fattore orgware

Un'altra tesi interessante è quella di Gianni Fodella (Fattore orgware, Garzanti 1993): nell'analisi di un mercato emergente non basta considerare hardware della tecnologia e software della gestione (intesa come management), ma anche il fattore orgware. Secondo lo studioso, l'orgware altro non è che la capacità organizzativa diffusa di una popolazione di un Paese di assorbire sia l'hardware che il software. Egli considerava questo fattore come elemento competitivo dei Paesi asiatici influenzati dalla civiltà cinese.

La Cina infatti, dal 1978 ha potuto sfruttare il fattore storico del suo orgware, le cui radici sono nell'organizzazione in un territorio relativamente ridotto di una vasta popolazione. La lotta quotidiana contro la natura per controllare le acque dei suoi grandi fiumi avrebbe educato nei secoli gli abitanti alla dura disciplina dell'organizzazione della propria vita in uno spazio contenuto.

Nel settore dell'auto, con l'entrata nel WTO (ex GATT, Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio), la potenza cinese emergente ha importato l'hardware tecnologico ed il software manageriale delle realtà industriali automobilistiche straniere, combinandoli col proprio orgware storico.


La sfida energetica

Nel 2006 il Medio Oriente ha prodotto 1.25 miliardi di tonnellate di petrolio: se la Cina e l'India, nei prossimi trent'anni, seguiranno la strada intrapresa dalla Corea del Sud tra l''80 e il 2008, e se il consumo per veicolo sarà quello attuale europeo, il fabbisogno totale di petrolio per i trasporti su gomma volerà a 900 milioni (+800 mln rispetto ad oggi) per la Tigre cinese e a 600 milioni per l'Elefante indiano.

Secondo questi dati dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (AIE), entro trent'anni (ipotizzando non vi siano crisi e guerre sconvolgenti il sistema o lo sviluppo dello stesso) avremo in circolazione due miliardi di autoveicoli (più del doppio dell'attuale).

La sfida del settore automobilistico, il cui baricentro si è spostato dall'Atlantico al Pacifico, è quella energetica: produrre veicoli che abbiano le stesse prestazioni ma che consumino meno. Diesel, ibridi, ma anche motori a benzina HCCI di GM e Volkswagen e il DiesOtto della Mercedes rientrano in questa lotta, una battaglia mondiale per la spartizione del mercato automobilistico ed energetico.