Petrolio come arma politica

01/08/09

01/08/09


Tra le fonti energetiche più diffuse e contese c'è il petrolio. Mentre questo veniva un tempo utilizzato per l'illuminazione, grazie al motore a scoppio costruito nella metà del XIX secolo, il suo uso aumenta rapidamente ed oggi i suoi derivati sono i combustibili di auto, camion, trattori agricoli, navi, aerei. Nei veicoli a motore è, per ora, insostituibile.

Non c'è paragone col carbone, che ha un potere calorifico minore (il calore dato dalla combustione di una tonnellata di petrolio equivale a quello prodotto bruciando 1,5 tonnellate di carbone) ed è un liquido (facilità di trasporto, caricamento ed immagazzinamento). Ecco il motivo per cui nel primo quarto del secolo scorso la Gran Bretagna trasformò la propria Marina militare dal carbone al petrolio (nonostante non fosse produttore di quest'ultimo). Aumentare del 50 per cento il potere calorifico del combustibile di una nave da guerra ed avere un rifornimento delle caldaie (tecnicamente definito impianto di adduzione) più leggero e meno ingombrante, significa poter avere più spessore di corazza dello scafo e maggiore calibro dei cannoni.

L'ineguale sviluppo

L'energia è una condizione necessaria ma non sufficiente, è un fattore chiave del quale bisogna tener conto, ma non spiega la dinamica delle potenze.

Il passaggio da carbone a petrolio ha accelerato il declino relativo britannico e l'ascesa degli Stati Uniti, nuova prima potenza mondiale, a lungo primo produttore di greggio. Gli USA del 1870 influivano per il 91% sulla produzione mondiale di petrolio, nel 1900 per il 60, a fine Seconda Guerra mondiale la quota scese al 52%, al 18 nel 1970, ed oggi si ferma a quota 10% (consumandone circa il 25% della fornitura mondiale).


Ancora oggi c'è petrolio a sufficienza per coprire la domanda mondiale (conferma anche Geoffrey Kemp, direttore del Regional Strategic Programs al Nixon Center), difatti il problema non è geologico, ma è politico, economico e logistico: la questione è garantire la sicurezza delle forniture. È una chiave di lettura degli avvenimenti politici in Medio Oriente, nel Golfo Persico, dove risiede il 64 per cento delle riserve mondiali provate di petrolio.

L'arma politica

L'autosufficienza energetica e il controllo delle fonti è fattore fondamentale di potenza. Citando Morgenthau (uno dei maggiori economisti e politologi realisti), la "diplomazia del petrolio" delle potenze altro non è stato che la creazione di "sfere di influenza che dava loro accesso esclusivo ai giacimenti petroliferi di determinate zone".

Scrive sempre il realista Hans J. Morgenthau nel 1985 (Politica tra le Nazioni. La lotta per il potere e la pace, 1997): "Ciò che una volta era il mercato dei compratori è diventato il mercato dei venditori". Questo rende il petrolio "arma politica" nelle mani del cartello dei produttori; resistergli può significare il "suicidio" per il Giappone e la "catastrofe" per l'Europa Occidentale, mentre può al massimo "ferire" gli Stati Uniti. "Non c'è altra soluzione che non sia una guerra per uscire da questo vicolo cieco", a meno di ridurre la posizione monopolistica dei Paesi produttori, "sovrani soltanto in senso molto limitato": gli Stati produttori di petrolio "non sono mai stati in grado di svolgere le funzioni per le quali il governo è stato inizialmente concepito: proteggere e promuovere la vita, la libertà e la felicità dei cittadini". Nemmeno ogni altro Paese, aggiungo io.

La "sicurezza energetica", in ultima analisi, è questione di potenza politica e militare.