Gli 800 esuberi di Rizzoli Corriere della Sera

01/03/13

01/03/13


Da più di trent'anni il gruppo Rizzoli Corriere della Sera, prima azienda editoriale italiana, controllata da gruppi finanziari e industriali che rappresentano una parte significativa del PIL, vive un processo di ristrutturazione infinito.

A subirne gli effetti, a pagarne il prezzo più pesante sono, come sempre, i lavoratori.

I processi di ristrutturazione, che nel secolo scorso avevano cadenza di 3-4 anni, hanno subito un'accelerazione in quest'ultimo decennio, per diventare praticamente un continuum in questi ultimi cinque anni di crisi globale.

L'ultimo conto che il nuovo amministratore delegato del Gruppo presenta ai produttori è di 800 esuberi (640 in Italia e 160 in Spagna), cessione o chiusura di testate periodiche, dismissione di attività marginali cosiddette non core, vendita della sede storica di via Solferino ed accentramento di tutta l'attività milanese in via Rizzoli.

Certo la crisi globale continua a mordere e la pubblicità, che rappresenta una quota significativa delle attività del Gruppo, è particolarmente colpita. Certo il settore dell'editoria sta vivendo un cambiamento epocale con una accelerazione del passaggio dal cartaceo al digitale.

Ma i lavoratori hanno già pagato da tempo e pesantemente gli effetti delle leggi di mercato e dei molteplici passaggi di mano della gestione del Gruppo. I 10500 dipendenti del 1979, momento del massimo sviluppo occupazionale di RCS sono diventati i 5 mila attuali, nonostante oggi si parli di un Gruppo europeo (RCS Mediagroup) e non più nazionale. Questo processo è avvenuto attraverso prepensionamenti e cessioni di ramo d'azienda.


E stanno pagando duramente anche gli attuali dipendenti, soprattutto i pochissimi nuovi assunti a tempo indeterminato. Per questi, infatti, gli accordi aziendali della "sopravvivenza del Gruppo" siglati in quest'ultimo biennio, con l'azzeramento degli integrativi economici e normativi per i nuovi assunti, comportano uno stipendio inferiore anche al 30 % rispetto ai colleghi anziani. Altro che la riduzione del 10 % che il nuovo amministratore e i suoi collaboratori si sono autoinflitti quale contributo al risanamento del Gruppo!

Pagano ancora più duramente i precari: tutti i collaboratori, interinali, stagisti, contratti a termine, soprattutto giovani ma anche meno giovani, che svolgono attività in autonomia e continuità, con professionalità alta e compenso basso, costretti alla precarietà a tempo indeterminato e a rinnovi di contratto peggiorativi.

E pagano anche tutti gli altri dipendenti, con anzianità di servizio, che nel susseguirsi di queste ristrutturazioni hanno vissuto la fuoriuscita dei colleghi, i continui cambiamenti organizzativi, i peggioramenti economici, normativi e professionali, magari più soft perché diluiti nel tempo rispetto ai nuovi assunti, ma che hanno provocato e provocano disorientamento, incertezza e demotivazione.

È una situazione che non riguarda solo i lavoratori di RCS, ma un'infinità di piccole realtà di cui non giunge neanche l'eco e molte realtà grandi, di ogni settore produttivo; situazioni che, se affrontate singolarmente dal sindacato, per quanta capacità organizzativa, determinazione, orgoglio di classe il singolo comparto può esprimere, non possono che portare ad un risultato al ribasso per i lavoratori. Saranno soprattutto questi a pagare gli effetti delle dure leggi del mercato.

Gli Stati, per salvare dal collasso il sistema finanziario, in questi anni hanno gettato cifre astronomiche. Invece i lavoratori vengono considerati pedine sacrificabili. Le sirene del parlamentarismo confondono e disorientano: non bisogna mai fidarsi.

Occorre impostare una difesa dei posti di lavoro guardando ai mutamenti del mercato globale. Mettere dei paletti è possibile, così come avere un respiro europeo nell'unità di classe. Forse i colleghi di RCS non ce la faranno, ma anche questa è una battaglia da giocare a testa alta in difesa dei lavoratori.