Parte prima, parte seconda, parte terza, parte quarta, parte quinta
Il significato e l'obiettivo politico delle lotte della borghesia nel corso dei lunghi secoli che, come abbiamo visto in questa serie di articoli, la videro emergere faticosamente dalla società feudale era evidente: eliminare le forme politiche della vecchia società e battersi per nuove forme politiche all'interno delle quali poter condizionare la politica, cioè il comune prima e lo Stato poi, in senso favorevole ai propri interessi.
Se questo era il contenuto e l'obiettivo delle lotte della borghesia, le forme che queste lotte assunsero non potevano non essere condizionate dalle ideologie di cui le masse erano allora prigioniere. La borghesia, infatti, poco numerosa, non poteva certo condurre le sue lotte senza coinvolgere in esse le masse contadine e salariate. In altre parole, tali lotte non potevano assumere altra forma, almeno per qualche secolo, che quella delle lotte di religione contro la Chiesa cattolica. Del resto gli stessi Stati assolutistici si formarono anche nella lotta per emanciparsi dal dominio della Chiesa e subordinarla alla loro sovranità.
Il quadro generale di queste lotte è tracciato con grande efficacia da Engels nella prefazione all'edizione inglese del 1892 di L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, di cui riportiamo un passo: "Quando l'Europa uscì dal Medioevo, la borghesia cittadina in via di sviluppo era in essa l'elemento rivoluzionario. [...] Il libero sviluppo della borghesia non era più compatibile con il mantenimento del sistema feudale; il sistema feudale doveva crollare. [...] La lunga lotta della borghesia europea contro il feudalesimo culminò in tre grandi battaglie decisive."
Le tre grandi battaglie della borghesia
La prima fu la Riforma protestante in Germania, che vide Martin Luther (1483-1546) contro la Chiesa e alla quale risposero due insurrezioni politiche: una per mano della piccola nobiltà, capeggiata da Franz von Sickingen (1481-1523) nel 1523, e l'altra la guerra dei contadini, combattuta tra il 1524 e 1526 sempre nel Sacro Romano Impero. Entrambe furono sconfitte e da quel momento la lotta degenerò in uno scontro fra principi locali e potere centrale imperiale, con la conseguente divisione della Germania. Dopo Lutero venne Giovanni Calvino (1509-1564), il cui movimento fondò una repubblica in Olanda e importanti partiti repubblicani in Inghilterra e Scozia.
Il secondo grande sollevamento della borghesia, basato sulla dottrina calvinista, si ebbe in Inghilterra durante il regno di Carlo I Stuart. La borghesia delle città cercò e ottenne l'appoggio dei contadini medi (yeomanry). "È abbastanza curioso", scrive Engels, "che in tutte le tre grandi rivoluzioni della borghesia i contadini forniscono l'esercito per la lotta, mentre sono la classe che dopo la vittoria viene immancabilmente rovinata dalle conseguenze economiche della vittoria stessa". Dal 1642 al 1660, in quella che viene definita la Guerra civile inglese, questa opposizione parlamentare diretta dal puritano Oliver Cromwell (1599-1658) si scontrò col re, appoggiato dall'aristocrazia e dalla Chiesa anglicana. Trentun anni dopo la morte di Cromwell, ci fu l'evento chiamato dagli storici liberali "Gloriosa rivoluzione" e dai conservatori "Grande ribellione": il Parlamento attaccava direttamente la monarchia cattolica (di cui l'ultimo baluardo fu Giacomo II) proclamando il Test Act nel 1672 in cui si dichiarava che solo i protestanti anglicani potevano ricoprire cariche pubbliche. Giacomo II si oppose, così il Parlamento e i vescovi chiamarono in difesa il genero del re, l'olandese Guglielmo d'Orange, che minacciò l'invasione. Il risultato ottenuto dalla borghesia della Grande Isola fu il Bill of Rights (conosciuto anche come Declaration of Rights) e la salita al trono di Guglielmo, divenuto quindi Guglielmo III d'Inghilterra.
La Rivoluzione francese del 1789 fu il terzo sollevamento della borghesia e, contemporaneamente, il primo che si staccò completamente dalla religione e dalle classi dominanti dell'epoca. Questa rivoluzione fu anche la prima in cui ci furono combattimenti armati veri e propri contro l'aristocrazia: un bagno di sangue su cui la borghesia fonda la sua presa di potere definitiva sul feudalesimo. Contemporaneamente, in Inghilterra, ci fu la Rivoluzione industriale, iniziata da James Watt (1736-1819) e la sua macchina a vapore, Richard Arkwright (1732-1792) col filatoio automatico, Edward Edmund Cartwright (1743-1823) che inventò il telaio meccanico.
Olanda, la repubblica della borghesia...
Francia, Germania, Inghilterra e, nel suo piccolo, l'Italia, furono i Paesi più importanti della storia europea, come abbiamo visto. Ma ci fu uno stato, in un mondo di monarchie, che merita un accenno. Stiamo parlando della prima repubblica borghese, seppur piccola: l'Olanda. Questa era una delle regioni più sviluppate d'Europa, in cui era presente, di conseguenza, una forte borghesia, che mal tollerava il dominio della Spagna feudale ed il crescente carico fiscale che le era imposto.
Quella olandese fu dunque la prima rivoluzione vittoriosa, che si svolse nella forma di liberazione contro l'impero feudale e cattolico spagnolo, e le potenzialità del nuovo rapporto di produzione capitalistico furono evidenziate proprio dalla vittoria della piccola Olanda contro la più grande potenza militare dell'epoca, cioè la Spagna.
Grazie alla sua vittoriosa rivoluzione l'Olanda divenne la nazione capitalistica modello del XVII secolo, con la sua forte economia basata sulla manifattura, le compagnie del commercio internazionale (future società per azioni) proiettate sulla conquista di nuove rotte e mercati.
La Banca van Lening sul Canale del Principe (Prisengracht) ad Amsterdam in una incisione del 1663 |
Sempre nel suo illuminante libro Storia economica dell'Europa pre-industriale, Carlo Maria Cipolla traccia un quadro molto efficace del successo della borghesia olandese: "Amsterdam divenne un emporio internazionale dove si trovavano i prodotti di tutti gli angoli della Terra, dal rame giapponese a quello svedese, dai grani del Baltico alle sete italiane, dai vini francesi alle porcellane cinesi, dal caffè brasiliano al tè orientale, dalle spezie dell'Indonesia all'argento messicano. [...] Nacque la Borsa. [...] L'agricoltura olandese divenne una delle più avanzate d'Europa grazie a progredite tecniche di canalizzazione, d'irrigazione e di rotazione dei raccolti. Si calcola che i rendimenti agricoli in Olanda nel secolo XVII fossero due o tre volte più elevati che nella maggior parte d'Europa."
... e della prima speculazione capitalistica
L'Olanda si trovò dunque a fare da battistrada negli aspetti positivi del capitalismo, come lo sviluppo delle forze produttive, ma, inevitabilmente, anche negli aspetti negativi: si sviluppò infatti probabilmente in Olanda la prima bolla speculativa della storia del capitalismo, antenata della "new economy". È passata alla storia come la febbre dei tulipani.
La vicenda ebbe inizio nel 1593 quando un botanico portò in Olanda, dalla Turchia, i primi bulbi di tulipano: in pochi anni la passione per i tulipani dilagò ed i prezzi dei bulbi andarono di conseguenza alle stelle. I banchieri di Amsterdam intervennero in forze nel business, inventando tra l'altro un nuovo strumento speculativo, l'opzione di acquisto (una specie di antenato dei derivati), che offriva la possibilità di speculare, ossia di approfittare di una situazione per trarne ricavo sulle spalle di altri, per somme ben superiori a quelle di cui disponeva l'investitore.
Tutti si buttarono a comprare e a rivendere bulbi sempre più "virtuali" il cui prezzo continuava a salire e tutti sembravano convinti che ciò durasse all'infinito: ci fu chi arrivò persino a vendersi la casa per un singolo bulbo! Nel gennaio 1637 la cuccagna finì, la bolla si sgonfiò, e molti si ritrovarono in mano bulbi che erano stati pagati una fortuna ma che ormai erano buoni solo da piantare nel giardino di casa (almeno per coloro che non l'avevano venduta...).
Per sancire l'insediamento definitivo in Europa, però, non bastava la vittoria in Olanda. Ci vorrà la rivoluzione inglese, divenuta nel frattempo la più grande potenza europea, per superare il punto di non ritorno nell'affermazione di uno sviluppo capitalistico generale in Europa. La rivoluzione francese completerà l'opera, ma si accrediterà il merito particolare di aver aperto le porte dell'intero continente europeo al dominio della borghesia.
Cadere e rialzarsi, fino alla vittoria
Lo storico statunitense Charles Tilly (1929-2008), nel libro European Revolutions, 1492-1992 (1993) elenca in numerose tabelle riferite ai diversi Paesi e alle diverse aree geografiche europee, i numerosi episodi di lotte, che lui definisce "rivoluzionarie": si tratta, in genere, di svariate decine di episodi per ogni Paese o area. Il libro riporta anche per i Paesi più importanti l'elenco delle guerre combattute nel corso degli ultimi cinque secoli che si misurano anch'esse a decine. Considerando che si tratta in ogni caso di lotte delle classi sociali (nel primo caso di classi dominate contro quelle dominanti, mentre nel caso di guerre siamo di fronte a lotte intestine tra le classi dominanti), non è difficile arrivare alla conclusione che il marxismo ha perfettamente ragione, come del resto riconosceva il grande storico medievalista Jacques Le Goff, quando afferma che: "La storia di ogni società esistita fino ad ora è storia di lotte di classi" (Manifesto del partito comunista, 1847-1848).
Le Goff scriverà nello stesso anno a proposito del marxismo: "[...] mi sembra, nonostante tutto, la sola teoria coerente di spiegazione della storia".
Buona parte delle lotte e delle rivoluzioni borghesi furono sconfitte o videro la borghesia piegarsi a vergognosi compromessi: ma questa classe dopo ogni sconfitta ha ripreso la propria lotta con più impegno e decisione di prima.
Una piccola osservazione ai denigratori della Rivoluzione d'Ottobre: perché mai la sconfitta del proletariato ad opera dello stalinismo dovrebbe implicare la conclusione che le rivoluzioni proletarie siano impossibili o destinate inesorabilmente a trasformarsi in sanguinose dittature? Del resto, la sconfitta di Ètienne Marcel (che abbiamo visto nel terzo di questa serie di articoli) e della sua dittatura di mercanti parigini non ha comportato la fine della storia delle rivoluzioni borghesi in Francia: ha solo reso evidente la necessità di fare altri tentativi. Ma, forse, per affermare il contrario bisogna averne interesse. Oppure, semplicemente, non si conosce la storia.