Gandhi e la sanguinosa non violenza

01/01/09

01/01/09


Mohandas Karamchand Gandhi nasce nel 1869 in una piccola città di provincia del Gujarat, a nord di Bombay, da una famiglia della casta dei banias (mercanti). Nasce e cresce in un ambiente impregnato di spiritualità; molti amici di famiglia sono giainisti, appartengono cioè a una religione che insegna il vegetarianesimo e il rispetto di tutti gli esseri viventi. Secondo le consuetudini, all'età di tredici anni i genitori lo sposano con una bambina di loro scelta, figlia di un commerciante.

Avvocato carrierista in Sudafrica, scopre la sua prima vocazione politica: difendere i diritti civili della minoranza indiana, immigrati colpiti dalle discriminazioni e dall'apartheid. Nella Guerra dei Boeri (1899-1902) Gandhi aiuta gli inglesi creando un corpo di volontari indiani per soccorrere i feriti. È la stessa guerra in cui Churchill si distingue per il suo eroismo militare combattendo in un reggimento di cavalleria degli ussari di Sua Maestà. Da lì si trasferisce in India, dove riempie i tempi morti della guarnigione studiando la storia dell'antica Roma di Gibbon, la storia inglese di Macaulay, e L'origine delle specie di Darwin.

Nel 1903, in una cittadina del Natal, in Sudafrica, fonda il giornale Indian Opinion. Questa piccola colonia è il primo modello di ashram, in cui si pratica, in un regime di vita monastico, la povertà volontaria, il lavoro manuale, la preghiera ed il digiuno. Mentre il mondo sviluppa il capitalismo, qui si torna al feudalesimo.

È nel 1906, contro le leggi razziali di Johannesburg, che Gandhi adotta la satyagraha, metodo di protesta non violento, con cui convince la gente in protesta a subire passivamente le punizioni inflitte. Il metodo non violento funziona, dopo migliaia di imprigionati e morti, solo grazie alla reazione dell'opinione pubblica che, nel 1913 porta il generale Jan Christiaan Smuts a negoziare con Gandhi.

Un anno dopo, con lo scoppio della guerra tra Germania e Gran Bretagna, si trasferisce nella Grande Isola per aiutare i feriti inglesi. Qui si ammala di pleurite e ritorna al caldo di Bombay.

In aprile del 1915 la Campagna di Gallipoli per la conquista dei Dardanelli e di Costantinopoli ad opera degli Alleati per contrastare la Turchia, spalla della Germania, scatena il malumore della minoranza musulmana indiana che finisce così tra le fila di Gandhi.

Anche in India le occasioni per manifestare le idee della non violenza e della disobbedienza civile non mancarono affatto, infatti il 30 marzo 1919 ha inizio, a Delhi, la prima grande campagna di satyagraha su scala nazionale per protestare contro le misure restrittive che gli inglesi imponevano sulla libertà personale degli indiani, e che intendevano mantenere anche dopo la guerra. Gli aderenti furono invitati a firmare una formale dichiarazione redatta dallo stesso Gandhi, in cui si impegnavano a "disobbedire" nel caso in cui queste leggi venissero applicate. Poiché Gandhi proclamò il satyagraha un processo di auto purificazione sacra, si decise di sospendere il lavoro in tutta l'India per un giorno dedicando tale giornata al digiuno e alla preghiera. Tale processo non ottenne i risultati che ci si aspettava, anzi ebbe l'effetto contrario, così Gandhi fu costretto, il 18 aprile, non curante delle proteste degli estremisti, ad ordinare la sospensione del movimento.

Nel novembre 1921 Gandhi viene condannato a trascorrere 2 anni di carcere per avere ripreso i moti della non violenza contro il governo inglese. Quando venne rilasciato la situazione politica era profondamente mutata, e il movimento di non collaborazione aveva perduto ogni vigore. Nell'Uttar Pradesh un corteo di manifestanti, provocato, uccide 22 poliziotti: Gandhi, deluso dallo scoppio della naturale violenza degli schiacciati, cessa la sua obbedienza civile ed in seguito viene ancora incarcerato.

A fine gennaio del 1924 la polizia al servizio del governo coloniale spara sugli akali, contadini hindu, in rivolta da giorni contro i padroni terrieri indigeni e le autorità. Quasi contemporaneamente 200 mila operai tessili scioperano chiedendo il ripristino del premio annuale di produzione (soppresso con il pretesto della depressione economica) e il padronato indigeno e inglese di Bombay cerca di schiacciarli con una serrata spietata. Il 1° febbraio rimangono senza lavoro circa 150 mila tessili. Tuttavia i lavoratori dell'Ahmedabad non sono stati del tutto piegati, essendo riusciti a contenere al 15% la riduzione salariale e a ottenere un arbitraggio sulla questione dei premi. Subito dopo questo successo, il padronato ha sferrato l'offensiva a Bombay: qui l'esasperazione della popolazione operaia è indescrivibile. A protezione dei quartieri ricchi della città è stato schierato l'esercito. Gli operai sono risoluti a resistere per mesi, se necessario. I dirigenti sindacali sono, come è ovvio, più vicini al padronato che al proletariato. Durante tutto questo Gandhi rimane fuori dalla scena politica indiana.

Gandhi propose una nuova campagna di disobbedienza civile basata sulla legge del monopolio del sale che incideva negativamente soprattutto sui poveri. La mattina del 12 marzo 1930 seguito da degli studenti si diresse, a piedi, verso la costa per fabbricare qualche grammo di sale in spregio al monopolio. Da qui iniziarono i moti del sale: i contadini non pagarono più l'imposta terriera; il boicottaggio dei tessuti stranieri divenne generale: i funzionari legislativi furono colpiti da ostracismo. I negozianti si rifiutavano di vendere i loro generi più necessari. I tribunali divennero deserti. Gli inglesi cercarono dapprima di reagire facendo caricare i dimostranti dalla polizia e arrestare i violati della legge. Gandhi fu arrestato e la direzione della campagna fu assunta dalla moglie, ma venne arrestata anch'essa; succedettero a quest'ultima molti altri capi ma vennero tutti arrestati ed in poco tempo le prigioni furono di nuovo piene. Il 25 gennaio 1931 Gandhi ed altri membri dell'esecutivo del congresso vennero liberati senza condizioni; e al termine di una serie di colloqui tra il Viceré e Gandhi, nel febbraio-marzo 1931 fu raggiunto un accordo definito "patto Irwin-Gandhi" per cui il Governo britannico modificava le leggi sul monopolio del sale, liberava i detenuti politici e revocava le ordinanze speciali ed i procedimenti pendenti ed il Congresso in cambio accettava di partecipare alla Conferenza della "Tavola Rotonda", nella quale fu raggiunto un vago accordo sulle linee generali della nuova costituzione. Con l'approssimarsi del secondo conflitto mondiale Gandhi riprese i contatti con il movimento indipendentista, per dichiarare così allo scoppio della guerra l'India come Paese che condannava il nazismo e il fascismo moralmente, a parole, e come Paese che non si sarebbe mai alleato ad una guerra mirante alla difesa dello status quo avrebbe collaborato alla difesa della democrazia se questa sarebbe stata applicata anche all'India.


Federico Rampini, articolista de La Repubblica, commentando il libro Gandhi and Churchill di Arthur Herman è chiaro:< "[...] Il suo pacifismo gli fa velo al punto di trasformarsi in una folle ingenuità di fronte al nazifascismo. Quando insiste perché i soldati inglesi lascino l'India nel cuore della Seconda guerra mondiale, non capisce che spianerebbero la strada al ricongiungimento delle forze tedesche e giapponesi, consegnando a Hitler il petrolio del mondo arabo. Durante i bombardamenti della Luftwaffe su Londra lancia agli inglesi un appello sconcertante: "Invitate Hitler e Mussolini a prendersi quei Paesi che considerate vostri. Lasciate che s'impadroniscano della vostra bella isola. Gli darete la terra ma non le vostre menti né le vostre anime. Agli ebrei tedeschi perseguitati dal nazismo consiglia di "dimostrare con calma che la forza di soffrire è un dono di Dio, e la dignità umana convertirà i persecutori". Anche agli etiopi aveva suggerito di non resistere contro le truppe italiane, fino ad accettare lo sterminio, "perché tanto a Mussolini non serve conquistare un deserto". Se l'India fosse caduta nelle mani dei giapponesi - che ci arrivarono molto vicini, in Birmania e a Singapore - la storia della guerra mondiale poteva cambiare. Hitler da parte sua aveva le idee chiare su Gandhi. Nel 1938, prima che esplodessero le ostilità, aveva offerto un consiglio disinteressato a Lord Halifax sul modo migliore per trattare il movimento indipendentista indiano. "Fucilate Gandhi per primo - aveva detto il Führer - e se non basta fucilate una dozzina di leader del suo partito del Congresso. Se ancora non basta fucilatene duecento. E andate avanti così, finché l'ordine sarà ristabilito".

La situazione che si venne a creare negli anni Quaranta era molto delicata per il governo britannico che non poteva affrontare anche il problema dell'India visto che la maggior parte delle forze erano impegnate nel conflitto mondiale. Nel 1942 Gandhi chiede agli inglesi di lasciare l'India tramite la risoluzione Quit India: seguono grandi manifestazioni di piazza in suo favore e l'Inghilterra usa tutta la sua forza presente in India per soffocare le proteste: violenze, morti, feriti, arrestati, non spostano Gandhi dalla sua teoria della non violenza, lasciando massacrare, ancora una volta, l'inerme proletariato pendente dalle sue magre labbra. Il Mahatma viene arrestato assieme ai dirigenti del Congresso nel 1942. Viene rilasciato nel 1944, gravemente malato "grazie" al suo vegetarianesimo.

La svolta decisiva si ebbe nel 1945 quando i musulmani esposero le loro tesi nelle quali auspicavano la creazione di uno Stato musulmano separato, formato con le province in maggioranza musulmane. Queste tesi prevalsero e il 15 agosto 1947 l'India si spaccò in due Stati distinti: il Pakistan e l'Unione Indiana. Per definire i confini vennero istituite due commissioni miste ma che stentavano a raggiungere un accordo: questa situazione tesa e complicata scatenò un guerra tra musulmani ed hindu, specialmente nel Kashmir, che alla fine di quel fatale 1947 provocò circa un milione di morti e cinque milioni di profughi.

A Natale del 1940 la follia e la cecità politico-strategica di Gandhi lo porta a scrivere una lettera a Hitler. Eccone il testo, tradotto:

"Caro amico,
se mi rivolgo a lei chiamandola amico non è per formalità. Io non ho nemici. La mia occupazione negli ultimi 23 anni è consistita nell'ottenere l'amicizia dell'umanità intera, mostrandomi amico degli esseri umani al di là delle distinzioni di razza, colore o credo.

Spero che abbia il tempo ed il desiderio di sapere in che modo una parte consistente di umanità, che vive sotto l'influenza di questa dottrina dell'amicizia universale, considera la sua azione. Non abbiamo dubbi riguardo al suo coraggio ed alla sua devozione verso la sua patria, né crediamo che lei sia il mostro descritto dai suoi oppositori. Ma i suoi scritti e le sue dichiarazioni e quelli dei suoi amici e ammiratori lasciano pochi dubbi sul fatto che molte delle sue azioni sono mostruose ed avverse alla dignità umana, soprattutto nel giudizio di uomini che come me credono nell'amicizia universale. Ad esempio l'umiliazione della Cecoslovacchia, la violenza contro la Polonia e l'annessione della Danimarca. Sono consapevole che, secondo la sua visione della vita, queste spoliazioni sono atti virtuosi. Ma noi siamo stati abituati fin dall'infanzia a considerare atti simili come atti che degradano l'umanità. Per questo non possiamo assolutamente augurarci che le sue armi abbiano successo.

Ma la nostra posizione è unica. Noi resistiamo all'imperialismo britannico non meno che al nazismo. Se c'è una differenza, è nel grado. Un quinto della razza umana è stato messo sotto lo stivale britannico, con mezzi non ineccepibili. La nostra resistenza non vuol dire che vogliamo far male al popolo inglese. Cerchiamo di convertirlo, non di sconfiggerlo sul campo di battaglia. La nostra è una rivolta non armata contro il dominio britannico. Sia che riusciamo a convertirlo o no, siamo determinati a rendere impossibile il loro dominio con la non-cooperazione non-violenta. Si tratta di un metodo per sua natura indifettibile. E' basato sul riconoscimento del fatto che nessuno sfruttatore può raggiungere il suo scopo senza un certo grado di collaborazione, volontaria o forzata, della vittima. I nostri governanti potranno avere la nostra terra ed i nostri corpi, ma non le nostre anime. Potranno avere i primi solo con la completa distruzione di ogni indiano – uomini, donne e bambini. E' vero che non tutti possono giungere a ad un tale grado di eroismo e che una certa quantità di terrore può piegare una rivolta, ma è un argomento che non centra il punto. Ma se si troveranno in India un certo numero di uomini e donne pronti, senza alcuna cattiva intenzione contro gli sfruttatori, a perdere la vita piuttosto che piegare le ginocchia davanti a loro, saranno essi a mostrare la via per liberarsi dalla tirannia della violenza. Le chiedo di credermi quando le dico che un numero sorprendente di tali uomini e donne è in India. Essi hanno ricevuto questo addestramento negli ultimi vent'anni.

Nell'ultimo mezzo secolo abbiamo cercato di liberarci dal dominio inglese. Il movimento per l'indipendenza non è mai stato forte quanto oggi. L'organizzazione politica più potente, il Congresso Nazionale Indiano, sta cercando di raggiungere questo scopo. Abbiamo raggiunto un successo apprezzabile attraverso lo sforzo non-violento. Eravamo incerti sui mezzi migliori da adoperare per combattere la violenza meglio organizzata al mondo, che il potere britannico rappresenta. Lei lo ha sfidato. Resta da vedere quale sia meglio organizzato, quello tedesco o quello britannico. Noi sappiamo cosa vuol dire lo stivale britannico per noi e per le razze non-europee del mondo. Abbiamo trovato nella non-violenza una forza che, se organizzata, può senza dubbio combattere contro una combinazione delle forze più violente del mondo. Nella tecnica non-violenta, come ho detto, non c'è una cosa come la sconfitta. Si tratta di “vincere o morire”, senza uccidere o arrecare sofferenza. Può essere impiegata praticamente senza denaro e ovviamente senza l'aiuto di quella scienza della distruzione che avete portato a tale perfezione. È motivo di meraviglia per me che lei non veda che essa non è monopolio di nessuno. Se non gli inglesi, qualche altro potere perfezionerà il vostro metodo e vi batterà con le vostre stesse armi. Non lascia in eredità al suo popolo nulla di cui possa sentirsi orgoglioso. Non può essere orgoglioso del racconto di azioni crudeli, benché abilmente pianificate. Quindi, in nome dell'umanità, mi appello a lei affinché fermi la guerra. Non ci perderò nulla a rimettere tutti i motivi di disputa tra lei e la Gran Bretagna ad un tribunale internazionale scelto comunemente. Se avrà successo nella guerra, ciò non significherà che ha ragione. Ciò proverà soltanto che il suo potere di distruzione era maggiore. Al contrario, una sentenza da parte di un tribunale imparziale mostrerà, per quanto umanamente possibile, da quale parte sta la ragione.

Lei sa che non molto tempo fa ho fatto un appello ad ogni inglese ad accettare il mio metodo della resistenza non-violenta. L'ho fatto perché gli inglesi mi conoscono come loro amico, benché ribelle. Io sono uno straniero per lei ed il suo popolo. Non ho il coraggio di fare a lei l'appello che ho fatto agli inglesi. Questo non vuol dire che esso non sia diretto a lei con la stessa forza con cui è stato diretto agli inglesi. Ma il mio proposito attuale è molto semplice, perché molto più pratico e familiare.

In questa stagione in cui i cuori dell'Europa anelano alla pace, abbiamo sospeso anche la nostra lotta pacifica. E' troppo chiederle di fare uno sforzo per la pace in un periodo che può non voler dire nulla per lei personalmente, ma che significa molto per i milioni di europei il cui muto grido per la pace io ascolto, perché le mie orecchie sono abituate ad ascoltare le moltitudini silenziose. Avevo intenzione di indirizzare un appello congiunto a lei e al signor Mussolini, che ho avuto il privilegio di incontrare a Roma nel corso della mia visita in Inghilterra, come delegato alla Conferenza della Tavola Rotonda. Spero che egli voglia considerarlo come rivolto anche a lui, anche se con i necessari aggiustamenti.
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